La zona K di Mozia, sita tra le fortificazioni e il santuario di Cappiddazzu, costituisce solo una piccola porzione delle aree industriali che si disponevano lungo la costa per 400 m circa sul versante settentrionale ed orientale a ridosso delle strutture difensive. In quest'area periferica dell'isola si svolgevano le attività industriali tra le quali predominava la produzione di vasellame e di oggetti ceramici.
A tale scopo era adibito un edificio sito a nord dell’area in questione in cui sono stati scoperti due forni per ceramiche ed altre istallazioni connesse alla produzione artigianale. Questi forni, detti a “omega” per via della caratteristica forma, sono pressoché identici agli esemplari più antichi scoperti sia in Fenicia che in Palestina. La parte meridionale di tale complesso è caratterizzata da uno spazio a cielo aperto, i cui limiti non risultano ancora del tutto chiari: si tratta forse di una grande piazza.
L'area K fu utilizzata già nel VI sec. a. C., ma venne rimaneggiata nel corso del V secolo. Durante l'assedio dionigiano del 397 a.C. questa zona fu in parte obliterata da una serie di cumuli di detriti disposti in maniera ragionata forse per creare degli sbarramenti interni alle mura con funzione di difesa. Al di sotto di queste installazioni sono stati scoperti alcuni elementi architettonici come blocchi e capitelli; da lì proviene inoltre la statua del giovane di Mozia.
Nell'epoca successiva alla distruzione siracusana la zona K continuò ad essere usata ma in maniera limitata.
In merito alla grande area a cielo aperto la ricerca archeologica ha permesso inoltre la scoperta di diversi pozzetti siti sia sul piano del cortile sia in piccoli vani disposti a nord e ad est dello spazio in questione; a tali impianti erano connessi cumuli di conchiglie della tipologia “Murex”, note nell'antichità per la porpora, pigmento utilizzato dai Fenici per tingere pelli e stoffe. L'area K di Mozia aveva quindi un duplice utilizzo; infatti vi si realizzavano le ceramiche nel settore nord e la porpora nella parte meridionale.
Passando ora all'analisi delle strutture messe in luce in quest'area dagli scavi, si ricava la seguente ricostruzione: la zona K era composta da un edificio bipartito sito a nord a ridosso delle mura; vi si accedeva da sud attraverso uno spazio scoperto con un forno nell'angolo sud-ovest abbandonato nel V sec. a.C. e ricoperto da un acciottolato. Nel pavimento della medesima stanza erano altresì un pithos infisso nel terreno e un pozzo quadrangolare scavato nella roccia e provvisto di tacche per la discesa a cui erano collegate delle condutture fittili. Sul muro orientale furono rinvenute numerose anfore. In questo spazio si ipotizza venissero posti i depositi di argilla non ancora lavorata e il vasellame crudo. A S-E del vano in questione venne identificato un forno più grande del precedente e dalla forma polilobata presso il quale fu rinvenuto un grosso mortaio probabilmente adoperato per l'epurazione dell'argilla. A nord del forno era un pozzo a sezione circolare scavato nella roccia e obliterato nel V sec. a.C. da un pavimento in battuto di argilla.
A sud del complesso si apriva il vasto spazio a cielo aperto che era bordato a settentrione da alcune installazioni.
Subito ad est sorge la cosiddetta “area K est”: è stato rinvenuto un pozzo circolare scavato nella roccia e successivamente abbandonato, ricoperto da un pavimento in argilla alimentato, tramite l'impiego di tubature fittili, dalle acque piovane raccolte dalle mura della città. Presso tale struttura era una vasca quadrangolare in muratura rivestita internamente da stucco e riempita di sabbia silicea finissima che, con ogni probabilità, veniva adoperata come degrassante nell'impasto delle ceramiche.
A sud era uno spazio acciottolato dove è stato messo in luce un altro muro realizzato con pietrame legato con argilla innalzato probabilmente durante l'assedio dionigiano.
Nella parte orientale della “area K est” venne scoperto un secondo complesso industriale. Si tratta di un edificio munito di due ambienti, in uno dei quali fu ritrovata, sotto lo strato di crollo delle coperture, una vaschetta con tracce di bruciato e diverse scorie metalliche: con ogni probabilità questo vano era destinato alla lavorazione siderurgica.
Un’ulteriore area industriale, adiacente alla zona K, fu rinvenuta presso la necropoli arcaica. Lo spazio in questione sembra essere già sfruttato nel VII sec. a.C. e fu ancora in funzione nel 397 a.C. Si tratta di uno spiazzo quadrangolare dotato di muri realizzati con pietrame ad eccezione del lato orientale dove si sostituiscono i mattoni crudi. All'interno di esso furono rinvenute circa venti fosse scavate nella roccia tenera, profonde circa 2 m, rivestite da uno strato d'argilla grigio-verde spesso 4 cm e tracce di bruciatura più o meno consistenti. Completavano il complesso due pozzi d'acqua.
Addossati in più punti e in grande quantità erano gusci di “Murex”, mollusco adoperato per la creazione della porpora: si è dunque supposto che l'impianto fosse destinato alla concia e alla colorazione di pelli e tessuti. Due forni ellittici siti a sud erano adoperati per la cottura delle ceramiche.
La visione complessiva che si ricava dall'analisi della zona K è quella di un'area specializzata in alcune produzioni e che ebbe lunga vita, costituendo quindi un punto di rilevante interesse.
Particolare è la collocazione di questo centro disposto in maniera periferica rispetto al centro abitato e ciò per evitare che i cattivi odori, prodotti dalla lavorazione dei molluschi destinati alla produzione della porpora, si diffondessero tra le abitazioni. Altro dato interessante è la funzione ricoperta da quest'area, adoperata durante l'assedio siracusano come avamposto difensivo.
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