La diversità dei culti religiosi nelle varie città siceliote non ha valenza solo da un punto di vista religioso o culturale ma ha anche una influenza sulle dinamiche politiche e sociali delle colonie.
Selinunte, colonia megarese sorta sulla cuspide occidentale dell’isola a confine con i punici e gli elimi, ebbe un ruolo precipuo in quanto baluardo della grecità in un territorio non facile da un punto di vista politico e umano (per via delle compagini già preesistenti in quelle zone). La città, fondata nel 650 a.C., ebbe un’irresistibile ascesa e occupò ben presto una posizione di rilievo nell’intero panorama delle città greche di Sicilia. La sua preminenza si tradusse concretamente nella costruzione di un imponente abitato in cui spiccavano gli spazi sacri. Il pantheon religioso selinuntino, così come quello di tutte le colonie occidentali, presenta una struttura bipolare che vede, da una parte, l’aderenza ai culti greci con particolare riguardo a quelli celebrati nella metropoli di provenienza, dall’altra si assiste a una adattamento dei culti in accezione locale; infatti, la vicinanza con le contrade elime confinanti coi territori selinuntini permise una serie di processi di acculturazione che videro il passaggio di talune forme cultuali, politiche, e artistiche all’interno dei territori indigeni, così come taluni fenomeni culturali furono accolti dalla colonia megarese e adattati. La duplicità dei culti selinuntini si tradusse urbanisticamente nella disposizione dei santuari votati alle divinità olimpiche sulla collina orientale e sull’acropoli con le forme tipiche del mondo greco, mentre ai culti ctonii venne riservata la collina occidentale ove primeggia il culto della Malophoros e di Zeus Meilichios, divinità entrambe legate al culto sepolcrale. Il pantheon selinuntino è noto attraverso l’iscrizione incisa sul blocco dell’anta del naiskos del tempio G risalente al V sec. a.C. L’epigrafe , dedicata con probabilità successivamente alla vittoria riportata su un popolo non meglio specificato, recita: «Grazie (alla protezione di) questi Dei vincono in battaglia i Selinuntini. Noi vinciamo grazie a Zeus e a Phobos e a Eracle e ad Apollo e a Poseidon e ai Tindaridi e ad Atena e a (Demetra) Malophoros e ad (Artemide) Pasicrateia e agli altri Dei, ma soprattutto grazie a Zeus. Conclusa la pace, (si decise che) in oro (non è specificato l’oggetto d’oro dedicato) incidendo (su essa) questi nomi, nel santuario di Apollo fosse dedicata, inscrivendo anzitutto il (nome) di Zeus. L’oro deve valere sessanta talenti (di argento)».
L’epigrafe in questione può essere divisa in due parti: alcuni la dividono a málista altri a qeós. In merito all’interpretazione della seconda vi sono pareri discordi; infatti manca il nome dell’oggetto dedicato nell’apollonion; sulla natura del votivo si sono fatte varie ipotesi: una statua di Zeus con il plinto su cui erano incisi i nomi degli dei, una lastra con i nomi delle divinità, un lingotto o una stele; Manganaro in merito a tale questione ha sostituito “ en kruseoi elasanta” con “enkruseon elafon” (ovvero una cerva d’oro); tuttavia questa interpretazione è comunemente rifiutata perché poco credibile. L’iscrizione del tempio G scoperta nell’Ottocento creò non poca confusione agli studiosi dell’epoca: infatti il tempio in questione era stato considerato fino a quel momento un olimpeion, a causa del ritrovamento dell’epigrafe si cambiò orientamento tant’è che il santuario fu considerato un apollonion; cosa confermata ancora agli inizi del Novecento nelle mappe catastali. Si mutò opinione quando nel tempio C furono rinvenute le cretule dedicate ad Apollo nel temenos; ciò fece sì che si canonizzassero il tempio G dedicato a Zeus e il tempio C dedicato ad Apollo.
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