La collina orientale di Selinunte coi suoi tre templi costituisce uno dei complessi monumentali di maggior rilievo della grecità d’occidente. Il pianoro in questione sorge a 50 m sul livello del mare e digrada verso la valle del gorgo Cottone, ove era stato istallato il porto orientale della città. I monumenti posti su questa altura vengono contrassegnati convenzionalmente con le lettere E, F e G e sono disposti parallelamente secondo l’asse est-ovest. Si tratta di tre templi extraurbani la cui funzione, oltre a quella religiosa, era da porre in relazione alle funzioni emporistico-commerciali del vicino porto.
Il tempio E di Selinunte, noto sin dall’Ottocento, è stato studiato da G. Gullini e ha ricevuto anastilosi negli anni Cinquanta del 900 ad opera dell’allora soprintendente Jole Bovio Marconi. L’edificio sacro, secondo Gullini, ebbe tre fasi costruttive: E1 della fine del VII sec. a.C.; E2 la cui fase costruttiva comincia nel 500 a.C. circa; E3 databile al terzo decennio del V sec. a.C. ancor oggi visibile. Il tempio E1 era un edificio di notevoli dimensioni la cui pianta coincideva all’incirca con la cella di E3. Si tratta di un tempio a oikos dotato di pronao in antis e cella con adyton. Del materiale relativo all’alzato si segnalano due fusti di colonne monolitiche (di cui uno lungo all’incirca 2,50 m reimpiegato nello stereobate di E2) e due capitelli con echino espanso a mensola. Per quanto riguarda la trabeazione del tempio, Gullini ipotizza che sui due capitelli del pronao poggiasse un architrave ligneo rivestito da un elemento lapideo a forma di L (come si è riscontrato nel coevo Apollonion di Siracusa); tuttavia non si sono trovate testimonianze in merito. L’impiego misto di legno e pietra sembra invece confermato nella sistemazione del fregio, di cui alcuni blocchi sono stati rinvenuti nel tempio E2 e altri nello scarico delle macerie del primitivo edificio, collocato nello spazio antistante lo spigolo sud-est di E3. La diversità di lavorazione delle facce verticali di contatto di questi elementi architettonici dimostra che i blocchi erano collegati tra loro nelle parti a levigatura più accurata, mentre si faceva ricorso ad elementi lignei nelle facce a lavorazione più grossolana. La fronte del fregio era composta da elementi aggettanti in luogo di triglifi e da un semplice kumation. Il tetto, a pagoda, era realizzato con tegole che poggiavano su un letto di paglia e argilla. Il colmo del tetto era coperto dal kalupt er hgemo (coppo di colmo) coronato da palmette fittili e policrome. I bordi dei quattro spioventi erano ornati da una serie di antefisse a palmette e fiori di loto sistemate alternativamente a diritto e a rovescio. A completare la decorazione policroma del tetto si aggiungeva anche la decorazione a scacchi della faccia superiore delle tegole. ad est; a una distanza di circa 10 m dalla fronte del tempio era collocato l’altare inserito all’interno del temenos che è databile alla fine del VII sec. a.C. e in cui si apriva un propileo ad H. Il tempio nella copertura sembra richiamare le analoghe decorazioni degli edifici sacri corinzi del tempo.
Sull’effettiva esistenza del tempio E2 si è a lungo dibattuto. Stando alle fonti si può affermare con certezza che l’edificio subì un incendio nel 510 a.C. In quel periodo a Selinunte salì al potere il tiranno Peiqago rhs (Pitagora) filo-punico inviso dall’aristocrazia e destituito ben presto. Fu proprio durante queste convulse vicende che prese avvio la ricostruzione del tempio E assieme alla costruzione degli altri due santuari della collina orientale. La monumentalizzazione del pianoro dovette aderire ad un preciso programma di propaganda promosso dal tiranno, che si arrestò bruscamente con la morte di quest’ultimo. Tuttavia l’ipotesi di una seconda fase del tempio E sembra eccessiva; del resto i lavori si arrestarono al basamento. Si tratta quindi di un momento di transizione a cui seguì la successiva riedificazione del tempio nel 460-450 a.C.
Quest’ultima fase di costruzione riveste un’importanza fondamentale per la fusione tra gli elementi tradizionali dell’ordine dorico, tipico degli edifici sacri selinuntini, e le innovazioni importate in quel periodo dalla madrepatria. Le colonne alte e snelle, le proporzioni tra capitelli e cornici, le correzioni ottiche ma ancora la sistemazione della cella e dei fregi figurati sono elementi distintivi e fondamentali per la comprensione dell’edificio.
Periptero, dorico esastilo su ciascuna fronte, il tempio presentava 15 colonne sui lati lunghi. All’edificio si accedeva da oriente tramite otto gradini ai cui lati sono stati rinvenuti due ripiani ove, forse, erano collocate due statue di culto. Le colonne erano alte 10,20 ma compreso il capitello avevano alla base un diametro di 2,20m ed erano costituite da sei tamburi sovrapposti la cui superficie era scandita da venti scanalature. L’architrave era costituita da due blocchi accostati.
Lo spazio sacro era rappresentato dal pronao con due colonne in antis, un naos sottolineato da un pavimento rialzato, un adyton dove era collocata verosimilmente la statua di culto posta su di un piedistallo ancor oggi in opera e l’opistodomo anch’esso in antis. Quest’ultimo accorgimento architettonico tradisce una persistenza dei modelli locali sulle costruzioni sacre: infatti, benché in Grecia l’opistodomo fosse stato sostituito da tempo dall’adyton nella colonia siciliana, tale elemento continua a permanere creando così una duplicazione dello spazio sacro e un diverso utilizzo dell’adyton: infatti in questo vano generalmente veniva posto il tesoro della divinità e qui invece si colloca la statua di culto come se fosse un’appendice dello stesso naos.
Tale sistemazione della cella rivela come i dettami provenienti dalla madrepatria fossero rimaneggiati nella colonia e adattati alle esigenze locali. Le metope site sulla fronte del pronao e dell’opistodomo e le correzioni ottiche hanno fatto sì che gli studiosi identificassero questo modello come oscillante tra il Partenone di Atene e il santuario di Zeus ad Olimpia: con quest’ultimo condivide infatti sia la sistemazione delle metope che vengono collocate in entrambi gli edifici in una posizione atipica, cioè sulle rispettive fronti del pronao e dell’opistodomo quasi a racchiudere il naos sottolineandone l’importanza, sia il rialzamento del pavimento della cella, accorgimento adoperato per dar maggiore rilievo alla parte più importante dell’intero tempio; inoltre in entrambi gli edifici il pronao e l’opistodomo sono in antis. Con il Partenone condivide l’utilizzo delle correzioni ottiche che sono accorgimenti intesi a dare l’impressione di perfezione geometrica dell’edificio: Si tratta della “curvatura delle orizzontali”: essa veniva usata in particolare nello stilobate che risultava così lievemente curvato verso l’alto (inclinazione delle colonne verso l’interno per la soluzione del cosiddetto “conflitto angolare”). In particolare, nel tempio E la peristasi delle colonne presenta curve con frecce di 18 cm sui lati lunghi, di 9 cm sui lati brevi. La soluzione del “conflitto angolare” nel nostro santuario prevedeva il restringimento dell’interasse delle colonne più vicine agli angoli del rettangolo dello stilobate per facilitare la sistemazione delle metope e dei triglifi sull’epistilio.
Il tempio E di Selinunte è uno degli esempi più interessanti tra quelli prodotti dalla colonia megarese poiché fonde nelle sue strutture elementi provenienti dalla madrepatria con persistenze locali, producendo un risultato notevole; del resto, la colonia fu uno dei centri più importanti dell’isola e come tale fu molto aperta alle diverse tendenze artistiche che si diffusero tra le varie colonie.
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