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Sulle pagine siciliane del quotidiano “la Repubblica” del 4 giugno 2006, in un servizio dal titolo “Tindari, il teatro ritrovato”, Giovanna Betto ricostruisce, con riferimento ad un articolo del poeta Bartolo Cattafi apparso su “La Gazzetta del Sud” del 16 gennaio 1954, la vicenda riguardante l’avvenuto recupero, cinquanta anni addietro, del teatro greco di Tindari, nel territorio di Patti in provincia di Messina. Il teatro era rimasto per oltre venti secoli coperto dalla terra, dagli arbusti e dalle sterpaglie, e su di esso si recavano a pascolare le pecore. “Promotore e artefice del ripristino di uno dei più bei teatri dell’ antichità - scrive Giovanna Betto - fu un eccentrico nobile siciliano recentemente scomparso, che amava definirsi un uomo di teatro che non aveva voluto mai varcare lo stretto, Michele Stilo, originario di Barcellona Pozzo di Gotto. Su un suo libro autobiografico egli stesso racconta quei giorni e quanto fu determinante per la riuscita dell’impresa l’aiuto di diversi personaggi dell’epoca, fra cui l’arciprete di Barcellona, mons. Salvatore Stracquadaini, che lo aiutò nella lunga trafila burocratica della Regione”.
Ad inaugurare quella lontana stagione fu l’«Aiace» di Sofocle, che ebbe come protagonista Andrea Bosic (lo spettacolo andò in scena il 7 agosto 1956), alla presenza di un folto pubblico che plaudì all’avvenimento, foriero di ulteriori e maggiori eventi artistici.
Successivamente i Romani, dopo la conquista della Sicilia, avevano apportato al teatro greco modifiche e aggiunte, tra cui il portico ed ulteriori opere laterizie. Nell’antichità, trentaquattro erano le file di gradini; la cavea, divisa in undici cunei, contava tremila posti. La struttura si affaccia sul golfo di Patti e da essa si abbraccia in lontananza con lo sguardo l’incantevole arcipelago delle Isole Eolie nell’intenso azzurro del leggendario mar Tirreno.
Tindari si trova sulla costa settentrionale della Sicilia tra Milazzo e Patti, a circa 65 chilometri da Messina, di fronte alle Isole Eolie. Raggiunse una ragguardevole prosperità sotto il dominio di Roma. Divenuta sede vescovile, nel IX secolo d. C. Tindari fu rasa al suolo dagli Arabi. Vi restano notevoli avanzi archeologici a testimonianza dell’opulenza raggiunta dalla città.
Francesco Gligora, messinese e presidente della romana Accademia Internazionale di Propaganda Culturale, scrisse e pubblicò nel 1986 un dramma storico in due atti dal titolo «Verre a Tindari», che la critica giudicò un autentico capolavoro. Si tratta di un libero adattamento scenico tratto dalle “Verrine” di Cicerone. Nella “dedicatoria” l’Autore scriveva: «Non so se e quando questo mio lavoro, questa mia interpretazione d’una pagina storica drammatica e pur suggestiva di Tindari sarà portata sulla scena e meglio ancora recitata in quel meraviglioso teatro che mi ha ispirato ed al quale dedico questa mia fatica, nel mirifico sogno d’un colle sospeso tra mare e cielo ove un popolo laborioso, libero e felice, costruì un mondo di favola, di bellezza, di tesori, di civiltà, di dignità, di libertà, e nell’immagine triste d’un bieco tiranno che, a soddisfacimento della propria lussuria, empietà, crudeltà, sconvolse in un attimo la serenità di chi ha creduto all’amore, all’onore, alla giustizia, alla libertà».
Il dramma, pubblicato da “Panda Edizioni” di Padova, sarà finalmente rappresentato a Tindari? Sarebbe questo un modo per rendere il dovuto omaggio a Francesco Gligora, che tra l’altro è anche notissimo come autore di una monumentale “Storia dei Papi” dalle origini del Cristianesimo a Giovanni Paolo II.
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