La scultura a tuttotondo, cioè una forma tridimensionale che è possibile osservare da tutti i lati, è una tecnica molto antica, come testimoniano figure votive e idoli della preistoria. In Grecia la scultura a tuttotondo comincia a svilupparsi intorno al VII sec. a.C. con la Plastica Dedalica: la figura umana viene rappresentata attraverso due tipi statuari raffiguranti la figura femminile (kore) e quella maschile (kouros). Tuttavia, parlando di scultura greca, si pensa subito ai grandi capolavori del periodo severo, quelli prodotti nella prima metà del V sec. a.C., come il Discobolo di Mirone o il Doriforo di Policleto: purtroppo però nei casi citati come nella maggior parte delle statue di quel periodo quelle che ci sono pervenute sono delle copie marmoree di epoca romana, in quanto gli originali in bronzo sono andati perduti nei secoli. Il bronzo infatti veniva rifuso per produrre armi, armature e oggetti d'uso comune e le uniche statue in bronzo del periodo severo pervenute fino a noi si sono salvate perché trasportate su navi che poi sono naufragate: il mare le ha custodite per farle giungere in buone condizioni fino ai nostri giorni. È questo il caso dei Bronzi di Riace, dello Zeus di Capo Artemision e del Satiro Danzante di Mazara del Vallo, solo per citarne alcuni. La tecnica della fusione in bronzo raggiunge nel periodo severo un altissimo grado di perfezione come si può ammirare negli splendidi originali pervenutici.
Queste statue venivano realizzate con una tecnica molto complessa e particolare, detta “di fusione a cera persa”. Vediamo da vicino le varie fasi che la caratterizzano: per prima cosa lo scultore eseguiva un modello in creta delle stesse dimensioni dell'opera da realizzare in bronzo. Attorno a questo modello in creta si realizzava un calco in gesso, utilizzando una serie di blocchi separabili fra loro che venivano plasmati sul modello stesso. I blocchi di gesso venivano separati e il modello di creta veniva distrutto, lasciando impresse le sue forme nel calco che veniva a sua volta rivestito da uno strato di cera precedentemente riscaldata. A questo punto i blocchi del calco erano rimontati con l'ausilio di un'ossatura di ferro per far sì che non si muovessero e si versava al loro interno della terra refrattaria mescolata ad acqua. Si aspettava il tempo necessario perché l'impasto di terra refrattaria fosse completamente secco e si rimuoveva il calco in gesso: era ben visibile il modello ricoperto di cera che aveva preso le fattezze di quello originale in creta. Dopodiché si creava attorno al modello una serie di cilindri di cera in cui versare il bronzo fuso e si ricopriva tutta la figura con uno strato di sabbia, mattoni spezzettati e gesso, lasciando libere solo le estremità dei canali in cera, fissando attorno delle robuste staffe metalliche per tenere unito il tutto. Il calco di fusione veniva portato ad una temperatura di circa 300°: riscaldandosi, la cera si scioglieva e lasciava lo spazio per il bronzo (da cui il nome di “tecnica di fusione a cera persa”). All'interno del calco veniva colato il bronzo fuso a una temperatura di 1100° che andava ad occupare lo spazio precedentemente occupato dalla cera. Non appena il bronzo si fosse raffreddato veniva eliminato il calco e tagliati i canali in bronzo che ricoprivano la statua. Si potevano utilizzare frammenti di gusci di conchiglia o pietre dure per alcune parti decorative, come gli occhi. Alla fine la statua era ripulita e veniva eliminata la terra refrattaria dal basso. Da quanto esposto fin qui si capisce che questa tecnica scultorea era in realtà molto complessa e lunga, anche se permetteva di ottenere risultati eccellenti irraggiungibili con altre tecniche scultoree.