Il satiro in estasi di Mazara

di Paolo Moreno
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Satiro di Mazara del ValloLa statua in bronzo del Satiro in estasi, ospitata a Mazara del Vallo nella chiesa di Sant’Egidio, fu rinvenuta nel Canale di Sicilia dai marinai del peschereccio “Mastro Ciccio”, comandato da Francesco Adragna. Tre anni di lavoro presso l’Istituto Centrale del Restauro in Roma hanno salvato il manufatto dal rischio della salsedine residua e hanno restituito alla contemplazione, ove possibile, la superficie originaria nella sua eccezionale qualità plastica.
Dal 1998 ho proposto l’interpretazione del reperto che viene unanimemente accettata, quale Satiro in estasi, per analogia con una serie di riproduzioni di età tardo ellenistica e romana che testimoniano il soggetto nella completezza degli attributi. Il seguace di Dioniso ruotava sulla gamba destra, mentre la sinistra era flessa col piede nel vuoto. Le braccia distese lateralmente dalla forza centrifuga impugnavano i simboli del culto: il kántharos (coppa ad alti manici), e il tirso (canna avvolta da nastri e/o tralci d’edera e vite, coronata da una pigna o da un ciuffo d’edera); una pelle di leopardo pendeva dal braccio sinistro, agitandosi fin dietro il dorso del protagonista. La testa è stravolta con i capelli fluttuanti.
La statua si reggeva sulle dita del piede destro: composizione ardita anche nel bronzo che non consentiva la traduzione a tutto tondo nel marmo. La celebrità è attestata da quasi sessanta riproduzioni in tecniche disparate: una brocca in terracotta invetriata che imita la decorazione a sbalzo di vasi metallici, rilievi su crateri in marmo, un tondo decorativo, un’ara funeraria e sarcofagi, incisioni su gemme e paste vitree.
La danza si è scatenata quando il Satiro ha terminato di bere: il calice nella sinistra s’immagina vuoto perché inclinato; ai piedi del danzatore in alcuni intagli appare rovesciato il cratere al quale tutti avevano ormai attinto. La collocazione del grande vaso, atto alla mescolanza dell’acqua al vino, era nel cuore del simposio (riunione per bere insieme): così veniamo a sapere che il Satiro si esibisce al centro della mistica accolta.
Le piroette con la testa abbandonata aggiungono all’eccitazione del vino l’effetto di un’affluenza di sangue al cervello: una “trance” tuttora praticata dai Dervisci di Konya, in Turchia, che si esibiscono nella danza rotante fino a cadere in estasi.
Satiro danzante: rilievo su tondo in marmo da Pompei Nel tiaso dionisiaco le più antiche immagini estatiche riguardano le Menadi “dai colli arrovesciati”, nella sintetica espressione di Pindaro (Ditirambi, framm. 2, 16). Un’idria attica a figure rosse da Vulci all’Antikenmuseum di Basilea mostra una delle danzatrici con il busto flesso e le braccia tese. La Menade di Dresda, copia da un originale di Scopa (circa 355 a.C.), ha in comune col Satiro di Mazara la pienezza dell’incarnato, la torsione del corpo, l’apertura delle braccia, lo stravolgimento del capo e la diffusione della chioma.
Per l’originaria collocazione del bronzo in Alessandria valgono le più antiche riproduzioni che possediamo. La brocchetta da vino (oinochóe), probabilmente realizzata a Cales (Calvi, presso Caserta), rientra nelle imitazioni dei prodotti alessandrini in metallo pregiato (Museo Martini di Storia dell’Enologia, Pessione). La gemma del Museo Nazionale di Napoli è attribuita a Sostrato, incisore al servizio degli ultimi Tolemei, passato il 29 a.C. nell’Urbe al seguito di Ottaviano. Infine il primo sarcofago dionisiaco che ospita il Satiro estatico viene dalla necropoli occidentale di Alessandria, e sarebbe stato lavorato localmente al tempo di Antonino Pio (Museo Greco Romano, Alessandria).
La chiarezza di struttura e di piani che ammiriamo nel Satiro, a monte del barocco ellenistico, appartiene alla visione di Prassitele. I figli del maestro, Cefisodoto e Timarco, ne hanno propalato la maniera nel Mediterraneo orientale, dove Alessandria ha elaborato il messaggio. Il Satiro, concepito nell’esuberanza della generazione dei diadochi (“eredi” immediati di Alessandro), ci trasmette forse un’invenzione di Prassitele (coeva alla Menade di Scopa), entrata nel repertorio della maniera. L’avvento al trono dei Tolemei era celebrato in Alessandria a guisa del ritorno di Dioniso dopo la vittoria sugl’Indi, a sua volta ricalcato da Alessandro Magno. Il Satiro di Mazara sarebbe la comparsa di una simile scena, cui poteva appartenere la zampa d’elefante in proporzione maggiore del naturale, trovata in mare dagli stessi pescatori di Mazara cui dobbiamo il rinvenimento del Satiro.
Satiro danzante durante il restauro a Roma L’ebbrezza mistica, indotta dal vino e dal moto vorticoso, è funzione strutturale dell’opera, come è al fondamento di una simile “performance” nelle “Dionisiache” di Nonno (circa 450 d.C.): originario di Panopoli nell’alto Egitto, il poeta può aver raccolto la suggestione del mondo alessandrino. La descrizione riguarda la sfida di Sileno a Marone. Rispetto al bronzo, il protagonista della fantasia letteraria differisce per l’età avanzata, la decadenza fisica e la presenza delle corna (peraltro insolite nell’iconografia del personaggio): “volgeva lo sguardo al cielo... danzava staccandosi dal suolo con molte volute, e drizzandosi sui talloni pulsava con ritmo vorticoso. Puntava sulla gamba destra tesa... e ruotando alzava all’indietro abilmente la gamba arcuata fino alla nuca. E con agile volteggio di danza ritornante, girato indietro su se stesso, si torceva abilmente a cerchio... percorrendo ininterrottamente lo stesso circuito a guisa di corona. E la testa stava appesa, come se fosse sempre per toccare il suolo ma senza mai sfiorare la polvere”.
Anche il cratere, presente in alcune riproduzioni su gemme del Satiro in estasi, appare nell’evocazione poetica. Al termine del “tourbillon” il corpo di Sileno si abbatte estenuato e si trasforma in fiume: la chioma dà luogo a flessibili giunchi. Marone, vincitore della gara, “afferra il cratere d’argento, premio di Sileno, e lo getta tra i flutti”, dicendo tra l’altro: “accetta l’argenteo cratere di Bacco, e scorrerai in vortici d’argento. Tu, Sileno che fa ruotare i piedi, danzi anche nello scorrere fluviale, conservi il turbinare delle gambe nei tuoi frangenti”.




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