Scoperte archelogiche a San Teodoro di Marsala

di Maria Antonietta Nocitra
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base di colonnaDa quasi un anno in un lembo del territorio di San Teodoro ubicato a sud di circa m 100 (cento) dall' edificio dell'ex brigata di finanza, ora locali del Nauticlub Sud, e tra il mare, ad ovest, e le ex saline, ad est, per le piogge abbondanti e per i forti venti che hanno asportato livelli di terreno vegetale, sono state scoperte dal signor Vito Monteleone le sagome di due tombe e le basi di due colonne. Abbiamo accertato da sopralluoghi che le tombe hanno la forma di parallelepipedo rettangolo, che sono tra di loro distanti circa m 13 e che quella meridionale ha i lati di base disposti con direzione 280° e quella settentrionale con direzione 300°. Così che, mentre la meridionale ha il suo lato di maestrale lontano m 2,40 dal centro della colonna meridionale, la settentrionale ha il suo lato di scirocco lontano circa m 4,50 dal centro della colonna settentrionale ed altresì i lati di base della tomba meridionale sono lunghi m 2,00 e m 0,80 con un’area di mq 1,60 di superficie, mentre quelli della settentrionale hanno lunghezza di m 1,80 e m 0,70, formando a loro volta un'area di mq 1,26.
Le loro pareti sono fatte con la calcarenite tipica di Marsala. In quel sito vi sono pezzi di pavimento in laterizio rosso con granuletti neri, che sembrano fatti di coccio pesto, dello spessore di cm 3,00, mentre sul sottile orizzonte di terreno agrario di colore rosso mattone, sciolto, limoso e sabbioso sono stati rinvenuti qua e là ciottoli, ghiaia e molte tessere di mosaici di costituzione eterogenea, dai vari colori, dalla forma cubica di lato lungo circa 1 cm, e pezzetti dagli spigoli vivi di selce di un bel colore rosato e pietrame basaltico di colore nero con altro di calcare marnoso bianco, che sembra scaglia. Ci si trovano detriti molto interessanti quanto i ciottoli di una calcite bianca somigliante al marmo di Carrara.
Ma le cose più importanti che sono spuntate e che faranno parlare ulteriormente di San Teodoro di Marsala sono le sezioni di due colonne simili, di forma cilindrica, del diametro di circa 40 cm, distanti m 4,60. La loro collegante è orientata da sud-ovest a nord-est di 46°. Il marmo di quella settentrionale, principalmente di colore grigio panna, include una miriade di cristalli luccicanti di onice, con sei venature di colore roseo, rosso mattone, azzurro, verdino, che lo rendono bello, delicato e misterioso perché formano una figura che somiglia ad un'arpa o alla lettera “V” di circa 25 cm di lunghezza. Abbiamo accertato tramite molte analisi calcimetriche eseguite su alcune loro schegge, rinvenute nelle loro prossimità, che sono costituite per l'85% di carbonato di calcio come lo è il marmo di Carrara, lo statuario, ma a differenza di questo, che è a grana saccaroide, quello delle due colonne non lo è.
Non sappiamo che cosa costituissero e quali funzioni svolgessero, né la data della loro collocazione. Sono bellissime, di pregevole fattura e di un marmo che sembra alla vista dello stesso tipo:
a) di quello dell'artistica e famosa statua del Giovinetto di Mozia, rinvenuta nell'estate del 1979 nella C/da Cappiddazzu;
b) dell'onice del Circeo della provincia di Latina.
Perché sono a contatto o vicine con tessere di mosaici policromi di forma cubica e lunghi circa 1 centimetro, siamo portati a pensare che potrebbero essere componenti di un tempio o di un luogo sacrificale fenicio o di un sacello romano o porzioni di una casa nobiliare romana. Chi li ha costruiti o eretti? Saranno stati i fenici o i siracusani di Dionisio dopo aver distrutto Mozia, o i romani dopo la battaglia delle Egadi che li fece proprietari di questa parte della Sicilia occidentale, o i bizantini tra il 535 e l'827 che avranno costruito una chiesa sull'isola di Mozia per venerare il grande martire cristiano San Pantaleo o San Pantaleone o Panteleemon, per volontà di Dio, che significa protettore dei medici, dei malati e dei bambini, ed un'altra sul territorio oggetto di questo studio, lontano da Mozia circa Km 4,00, per venerare il grande San Teodoro?
È stato detto che di San Teodoro si parla da diversi secoli:
a) nel 1272 della tonnara di San Teodoro in una ricognizione compiuta dalla diocesi di Mazara;
b) nel 1401/1417 dell'insula San Teodoro nella concessione del privilegio;
c) nel 1445 e nel 1456 della tonnara di San Teodoro;
d) nel 1457, 1502 e 1504 della torre di San Teodoro;
e) nel 1507 della chiesa di San Teodoro.
Riteniamo che il territorio descritto non sia mai stato in epoca storica un'isola e che per Isola di San Teodoro si sia voluta indicare la più settentrionale porzione di isola Grande, dove c'era una tonnara, successivamente chiamata Isola Borrone o Lo Curto dal proprietario e tonnara del Borrone o del Lo Curto. A meno che il descritto territorio non sia stato definito dai romani Insula perché compresa tra i mari ad ovest, a sud e ad est (dove qui ora ci sono i vasi dell’ex omonima salina). Questa fu costruita nel 1575 a pochi m dall'omonima tonnara, che è stata di proprietà degli Staiti dal 1440 al 1886 e dal 1886 del conte Maurigi che l'ha ereditata dalla madre, racchiudendo quella parte dello Stagnone che si prosciugava in estate (da notizie rilasciate dal dott. Enrico Zagarella al geologo Leonardo Nocitra).
Se è vero quello che dicono alcuni documenti del 1507 circa l'esistenza della chiesa di San Teodoro, viene da pensare che sarà stata costruita dai bizantini durante la loro dominazione, che si svolse tra il 535 e l'anno 827 d. C., dato che San Teodoro o San Todaro come San Pantaleone o San Pantaleo erano molto venerati sui territori dell'Impero Romano d'Oriente, poiché martirizzati tra il 303 ed il 305 dopo Cristo, il primo ad Amasea, ora Amasya, città della Turchia, l'altro a Nicomedia di Bitinia, ora Izmit, anch'essa della Turchia sita a ponente di Amasya di circa 510 Km, che era capitale dell'Impero Romano d'Oriente per non aver voluto rinnegare la fede in Cristo. Ciò ci porta a pensare a Venezia e ai Veneziani che erano e sono molto devoti dei due grandi santi.
Che siano stati i Veneziani ad erigere nell'isola di Mozia il monastero di San Pantaleo per purificarla, con il sangue del forte e grande martire cristiano, dei terribili misfatti che i Fenici vi avevano commesso ed il Tophet ne è testimone, e nell'insula, territorio che è oggetto di questo contributo, la chiesa di San Teodoro?
I dati acquisiti, comparati con quelli che caratterizzano il marmo della statua di Mozia, darebbero un notevolissimo contributo alla risoluzione di diversi enigmi e arricchirebbero la conoscenza della storia di Mozia e della terraferma che la delimita e dei traffici e delle rotte dei fenici oltre che dei popoli che si sono succeduti.
Vogliamo ricordare che la strada provinciale n°21, Marsala-Trapani, era chiamata via Valeria sicuramente per onorare e ricordare il console Valerio Levino, così come le arterie più importanti per traffico e più popolose delle Contrade Birgi sono infrastrutture romane.
Ci chiediamo se la strada subacquea dello Stagnone che collega Mozia con Birgi, che le carte topografiche, tra le quali la tavoletta Birgi Novo, definiscono romana, sia opera fenicia o romana oppure se i romani l'abbiano resa più stabile, più larga, più sicura e più agevole. I mosaici, le colonne e le due tombe potrebbero essere parti di una villa romana di pregevole fattura, ubicata su un sito di eccezionale bellezza e di un clima invidiabile e di una panoramicità incomparabile.
Un'altra scoperta che riteniamo di notevole importanza l'abbiamo fatta nel corso di una delle tante prospezioni geo-archeologiche.
Abbiamo rinvenuto nella Contrada Birgi Vecchi, nei resti delle Case don Peppino che si trovano ad ovest dalla trazzera donna Michela, da qualche anno via Isola Grande, da noi ritenuta strada romana, di m 20 e a nord dalla riva dello Stagnone di m 200, che ha coordinate geografiche U.T.M. 33STB777970, tra i ruderi di un edificio costruito con blocchi di forma parallelepipeda di calcarenite di buona coerenza, rossastri, delle dimensioni di m 1,40, m 0,50 e m 0,40 con modanature aggettanti stile egizio, un rocchio di colore nero, di forma cilindrica ma con scanalature, di diametro di 40 centimetri e lungo m 1, che sembra di composizione basaltica.
Poiché questo litotipo non è della zona ma vi è stato portato, in quanto reperti del genere lì non ne erano mai stati localizzati, ci chiediamo quale sia stata la sua funzione. Sarà stato un pezzo di colonna di qualche tempio? Di quale parte del tempio? Dove si trovava il tempio? Chi eresse il tempio? O un rullo per il trasporto delle navi greche per quel luogo piano e fangoso lungo 20 stadi? Se fosse servito per ciò, furono i greci di Dionisio a portarlo con le navi da Siracusa o a sottrarlo a qualche tempio esistente in zona.
Questa scoperta conferma ulteriormente quanto sia ricca la C/da Birgi dal punto di vista archeologico e induce a sollecitare ancor di più gli amministratori locali, comunali, provinciali e regionali, con una spinta più energica e meno distratta della Soprintendenza di Trapani, a programmare e finanziare progetti di scavi e a fare instituire nei locali dell'ex torre medievale di San Teodoro un museo archeologico della storia e della civiltà contadina e di quella della coltivazione delle saline per sistemarvi tutti i reperti rinvenuti e che si scopriranno in C/da Birgi, compresi quelli che già arricchiscono sale di musei nazionali e che andrebbero recuperati per essere restituiti al territorio di provenienza quando esso sarà finalmente nelle condizioni di garantirne l’auspicata custodia.



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