Nel Museo Archeologico di Caltanissetta sono conservate importanti e pregevoli collezioni di reperti ceramici e bronzei provenienti da alcuni dei siti antichi del territorio della provincia nissena. Il nucleo originario è costituito da un consistente gruppo di oggetti recuperati dai soci della benemerita Associazione Archeologica Nissena i quali, a partire dagli anni Sessanta, hanno collaborato in maniera disinteressata e attiva con la Soprintendenza, operando in condizioni talvolta assai difficili, ma spesso intervenendo tempestivamente in molte zone interessate da stanziamenti umani antichi ed evitando così la perdita di dati essenziali per la ricostruzione della storia dell’occupazione umana in questa parte del territorio della Sicilia. È il caso del centro indigeno ellenizzato posto sull’altura di Sabucina, il quale rischiava di essere irrimediabilmente distrutto dall’avanzamento del fronte di una cava. In quell’occasione fu possibile recuperare il famoso modellino di tempietto fittile, che risultò poi far parte di un sacello arcaico. Si tratta di un manufatto riproducente un edificio di culto con pronao in antis e tetto a doppio spiovente sormontato, alle estremità, da due figure di cavalieri - nei quali alcuni studiosi hanno voluto riconoscere i Dioscuri - e con il basso tympanon ornato da due maschere di tipo gorgonico. Il prezioso oggetto, sostenuto da un alto piede a calice su base anulare, costituisce un ritrovamento eccezionale, attribuibile ad un artista indigeno, del quale comunque è possibile cogliere i tratti di un linguaggio provinciale, che pur tenta di adeguarsi ai canoni di modelli nuovi diffusi da una cultura di certo più raffinata, quale quella greca, ai quali lo stesso modellino si ispira.
Proprio nella zona di Sabucina, negli anni Sessanta, fu avviata una prima campagna di scavi che portò alla scoperta del villaggio capannicolo del Bronzo Tardo (XIII - X sec. a. C.), il primo individuato in Sicilia e la cui esplorazione fu intrapresa da Piero Orlandini. Gli oggetti della cultura materiale e di uso domestico di tale insediamento sono esposti in varie vetrine della terza sala del Museo, accompagnati da un consistente apparato didattico e didascalico.
L’avvio della ricerca sistematica nel territorio della provincia nissena ebbe inizio da Gela, sorta sui resti della colonia rodio-cretese fondata nel 688 a.C. (Tuc. VI, 4,2). I coloni Geloi, nei decenni successivi alla fondazione della città, avevano progettato di allargare i propri confini territoriali spingendosi nella zona interna della Sicilia, in gran parte coincidente con l’attuale territorio della provincia nissena, allora abitata da popolazioni indigene, che avevano lasciato in molte aree le tracce delle loro civiltà e tradizioni culturali. Alcuni centri indigeni vennero ellenizzati dai coloni geloi; altri, invece, cercarono di opporre una forte resistenza all’avanzata dei greci: di tali vicende ci sono stati tramandati vari aneddoti dalle fonti storiche. Sulla loro scorta e delle ricerche condotte con ritmo intenso nel corso di un ventennio, gli archeologi riuscirono a ricostruire le tappe raggiunte dai coloni greci i quali, allo scopo di assicurarsi il possesso di territori fertili e strategicamente importanti, avevano fondato diverse poleis e centri fortificati lungo le valli dell’Imera (Salso) e delI’Hálykos (Platani), giungendo fin nella regione centrale dell’isola, coincidente con l’antica Sikania.
Ad esempio, nella zona più prossima a Caltanissetta, i Geloi avevano occupato le alture di S. Giuliano, Gibil Gabib, Sabucina, Pietrarossa e Palmintelli, sedi di antichi villaggi abitati fin dalla preistoria ed ancora, nel periodo durante il quale si attuava l’ellenizzazione del territorio, da consistenti nuclei di popolazioni indigene, le cui manifestazioni artistiche erano fortemente permeate di sopravvivenze egeo-micenee. Più all’interno i Geloi si erano spinti fino a Marianopoli e a Polizzello, nella media Valle del Platani, mentre il sito indigeno di Vassallaggi risultò ellenizzato solo nel VI sec. a.C. ad opera degli abitanti di Agrigento (Akragas), la subcolonia di Gela, fondata nel 588 a.C., ma diventata in breve tempo una città tanto importante da superare in grandezza la stessa colonia madre.
Nel Museo di Caltanissetta sono in mostra moltissimi reperti che permettono di seguire i modi ed i tempi in cui si attuò tale processo di ellenizzazione; basta soffermarsi nelle Sale II, III e IV, rispettivamente destinate a Vassallaggi, a Sabucina e a Monte Bubbonia, centri antichi dalle cui necropoli provengono pregevoli vasi attici a figure nere e rosse, alcuni dei quali attribuibili a ceramografi attivi nella prima metà del V sec. a.C., che erano giunti in queste zone grazie ai commerci delle popolazioni greche. Ad Oltos, ad esempio, è stata attribuita la coppa con la raffigurazione di Eracle da una tomba di Monte Bubbonia (primo venticinquennio del V sec. a.C.); ad un artista della cerchia del Pittore di Berlino (480-470 a.C.), invece, l’oinochóe con palestriti facente parte del corredo di una tomba di Sabucina; dalle necropoli di questo centro proviene anche il famoso cratere a colonnette con la scena dell’officina di Efesto, che il Beazley ha assegnato al Pittore di Harrow (470-460 a.C.).
Ma accanto ai prodotti delle officine attiche, nelle vetrine del Museo spiccano i vasi degli artigiani locali, altrettanto importanti e pregevoli.
Se molti di questi ultimi sono ornati con semplici motivi geometrici, altri si caratterizzano per la particolare sintassi decorativa costituita da elementi floreali oppure da fregi zoomorfi, che ripetono modelli di tradizione egea: intendiamo riferirci al grande cratere della necropoli di Sabucina con scena di lupi dalle fauci aperte da cui pende la lunga lingua.
Le notevoli scoperte archeologiche, succedutesi in questi ultimi decenni, hanno contribuito ad arricchire le collezioni del Museo con altri materiali, dal cui studio sono emersi dati rilevanti circa l’organizzazione di siti indigeni, caratterizzati, come nel caso di Polizzello, da manifestazioni autonome e spesso indipendenti da quelle dei Greci, che pure avevano diffuso il proprio patrimonio di cultura e tradizioni artistiche. Polizzello è un centro prossimo a Mussomeli, nel cuore della Sikania, del quale sono oggi in gran parte conosciute le necropoli rupestri con tombe a camera scavata nella roccia, l’acropoli con gli edifici di culto di tipo telesterico, nonché l’abitato sorto sul terrazzo naturale, ai piedi della stessa acropoli (VIII-VII sec. a.C.).
I reperti recuperati nel corso degli scavi ivi condotti negli ultimi anni sono esposti nella sala V al centro della quale il visitatore può ammirare i tre bronzetti provenienti dai sacelli dell’acropoli: due di essi raffigurano un offerente con patera nella mano destra, mentre un terzo e più noto, nella forma di tridente, riproduce una figura umana stante estremamente stilizzata, che richiama esemplari di epoca tarda micenea del tipo cosiddetto a Y (VII sec. a.C.).
Sempre nella medesima sala possono essere ammirati i pregevoli corredi ceramici e bronzei delle necropoli di quel sito indigeno, tra i quali si segnalano, per la particolare fattura, i vasi a calice con decorazione plastica riproducente in maniera stilizzata la testa del toro. Un simbolo questo che ricorre pure in forma plastica sul corpo di alcune anforette a decorazione lineare dipinta facenti parte delle deposizioni funerarie delle tombe di Polizzello (VIII-VII sec. a.C.).
Nuovi elementi per lo studio delle culture protostoriche del Bronzo Recente e Finale sono emersi inoltre dall’indagine sistematica della vasta necropoli rupestre e dell’abitato di Dessueri (Mazzarino), dove la ricerca archeologica è stata ripresa nel 1992, interrompendo il lungo silenzio seguito agli scavi di Paolo Orsi.
I corredi funerari del complesso tombale di Dessueri si compongono di brocche, olle, hydriai, anfore, ma anche di fibule, coltellini e vari oggetti di ornamento: spicca nel percorso espositivo l’anello aureo rinvenuto nella tomba 102, che è stata riferita, proprio per la ricchezza del corredo, ad un esponente egemone di quella comunità protostorica.
I frutti delle significative scoperte fatte in questi decenni a Monte Bubbonia (Mazzarino), identificato con il centro indigeno di Maktorion ricordato dalle fonti antiche, ed ancora a Monte Raffè, nel territorio di Mussomeli, del quale sono oggi alla luce resti dell’abitato greco distribuito sulle terrazze naturali dell’altura, sono stati pur essi inseriti nel percorso espositivo museale, che si è così ulteriormente arricchito. Esso è stato inoltre completato dai reperti recuperati nei vari insediamenti di età tardoantica, sorti nelle fertili pianure adatte alle coltivazioni cerealicole, intensamente sfruttate per il rifornimento dell’Impero.
Sono presentati i manufatti dell’insediamento in Contrada Lannari, ai piedi della Montagna di Sabucina, occupato da una necropoli con tombe a fossa databili ad età romano-imperiale (II-III sec. d.C.): dall’abitato, ubicato nel vicino Piano della Clesia, provengono oggetti ceramici e vitrei ed il ben noto busto ritratto marmoreo dell’imperatore Geta (204-205 d.C.), in mostra al centro della Sala IV.
Appartengono poi all’età bizantina i manufatti dei corredi delle tombe di Mimiani, nelle propaggini dell’alta valle del Salso, dei quali segnaliamo gli orecchini aurei con pendente semilunato a lamina decorata a traforo con figure di volatili, che possono essere attribuiti ad officine di Costantinopoli (VI-VII sec. d.C.).
In considerazione delle importanti collezioni archeologiche raccolte nel corso delI’ultimo quarantennio e, nelle more dell’ultimazione del costruendo Museo Archeologico in contrada Santo Spirito, sono stati riattati, appena nel 1996 con i finanziamenti dell’Assessorato Regionale per i Beni culturali ed Ambientali, i locali dell’attuale sede museale ospitata in un edificio dell’epoca fascista, posto nei pressi della Stazione Ferroviaria di Caltanissetta (Via Napoleone Colajanni).
L’allestimento segue una precisa distribuzione, destinando la prima sala alle collezioni del territorio urbano ed extraurbano di Caltanissetta, fino a Gibili Gabib, a cui segue una sala riservata all’antico centro di Vassallaggi. La sala centrale, che è anche tra le più grandi, accoglie i reperti preistorici e greci di Sabucina.
Le nuove acquisizioni relative a Dessueri, Monte Bubbonia, Lannari, che ricadono nella parte meridionale della provincia, sono state raccolte nella quarta sala, mentre ai centri del territorio settentrionale della stessa provincia, quali Cozzo Scavo (Santa Caterina di Villarmosa), Polizzello, Monte Raffe e Mimiani è stata destinata la quinta sala, nella quale si sono volute mantenere due vetrine con corredi delle necropoli e materiali dell’abitato di Capodarso, sito le cui vicende storiche sono state strettamente connesse, grazie alla sua posizione geografica, con quelle di Sabucina.
Il percorso espositivo comprende pure manufatti bronzei facenti parte di un’armatura di un guerriero, provenienti da Montagna di Marzo (Enna), donati nei precorsi anni al Museo. Il rinnovato allestimento, ricco di supporti didattici e didascalici, adeguato ai canoni della funzionalità conoscitiva e divulgativa della realtà museale, offre non solo allo specialista, ma anche ad un pubblico più vasto, una lettura più agevole dell’evolversi delle civiltà di età preistorica, greca e romana, succedutesi nel corso del tempo in questa regione della Sicilia.
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