Gli antichi romani diedero un rilevante impulso allo sviluppo della ritrattistica, in origine molto utilizzata nei riti funerari allo scopo di conservare il ricordo del defunto dopo la morte: quest'uso risale in effetti agli antichi egizi, che però usavano maschere funerarie solo per preservare la memoria dei grandi faraoni; ricordiamo la famosa maschera aurea di Tutankhamon, che riprendeva le fattezze del viso del faraone (sebbene stilizzato) proprio per tramandarne la memoria ai posteri. Nell'antica Roma si diffuse tra i patrizi l'uso di creare una maschera funeraria del defunto, in origine di cera, che si conservava all'interno della casa dentro un reliquario di legno. La maschera veniva presa sul volto del defunto per il desiderio dei parenti di fissarne i tratti fisionomici: questo desiderio era così radicato nei patrizi che ne limitarono e codificarono il diritto per legge. Da queste maschere in cera si potevano ricavare dei ritratti in terracotta, come quello conservato al Museo del Louvre. In occasione dei funerali degli altri membri della famiglia la maschera veniva portata in processione: durante l'elogio funebre l'oratore, dopo aver parlato del morto, cominciava ad elogiarne gli antenati partendo dal più antico e mostrandone le immagini. In seguito le primitive maschere di cera vennero sostituite da busti in marmo o in bronzo, come quello del patrizio L.Cecilio Giocondo, conservato al Museo Nazionale di Napoli. Qui lo stile ritrattistico raggiunge un eccezionale realismo, molto espressivo e riportante fedelmente i tratti fisionomici del defunto, anche quelli meno gradevoli esteticamente: l'austerità che ne deriva e l'analisi minuziosa fatta dall'artista sembrano in netto contrasto con l'eleganza intellettuale dei greci.
Questi ritratti romani hanno un'origine sociale: era segno distintivo dei patrizi possedere immagini dei defunti all'interno della casa, in genere conservati nell'ambiente dell'atrio, e il fatto di possederne parecchi rivelava l'appartenenza alla nobiltà della famiglia stessa. A Pompei troviamo un raro esempio di ritratto dipinto con la tecnica dell'affresco dove sono raffigurati un magistrato municipale e la moglie. Si nota il deciso realismo nella fisionomia del volto dell'uomo, che porta in mano un rotolo di papiro; la donna invece tiene in mano una tavoletta costituita da due fogli che si richiudono per proteggere la scrittura, ed è raffigurata in maniera più raffinata nella posa e nell'acconciatura. A volte i ritratti venivano inseriti in steli funerarie, come quella della famiglia di Publius Longidienus conservata a Ravenna, dove i personaggi raffigurati appartengono a una famiglia di ceto medio. I volti sono meno espressivi e realistici, mentre nella parte inferiore si riscontra l'aderenza alla realtà nella raffigurazione della barca, simbolo dell'attività svolta in vita dai membri della famiglia stessa.
Nei vari Ritratti di Augusto c'è invece la volontà da parte degli artisti di creare delle immagini idealizzate, richiamandosi all'arte greca del periodo classico e condividendone la ricerca del bello assoluto. In età augustea la ritrattistica funebre d'appannaggio dei patrizi si diffonde nei riti funebri dei piccoli commercianti e dei liberti, estendendosi da Roma a tutta l'Italia e conservandone la tradizione per secoli.