Cominciamo con la questione dell’organizzazione generale della città. L’abbiamo studiata con l’aiuto di una nuova carta topografica, da noi redatta col sistema delle isoipse, con l’aiuto di fotografie aeree e di sondaggi geofisici; quanto all’analisi delle strutture scavate, abbiamo studiato il loro carattere e il loro orientamento. Pare che nell’isola ci fossero due regioni più alte, con edifici importanti: quella del “Cappiddazzu” e probabilmente pure quella intorno a villa Whitaker (quest’ultima è stata poco indagata a causa della presenza delle case moderne di abitazione).
Il centro dell’isola forse non era densamente occupato: d’estate si soffre il caldo e manca l’aria. Certe parti non lontane dalla riva del mare invece (ad esempio, a sud della Villa) erano preferite per le abitazioni della classe abbiente, mentre altrove alla periferia si trovavano installazioni poco desiderabili nelle vicinanze delle case: il “tofet” (luogo del sacrificio dei bambini), la necropoli arcaica e pure le installazioni industriali come le officine da vasaio (tutte quelle lungo la costa nord).
Quanto alla pianificazione urbanistica, vicino alla costa l’orientamento delle case seguiva quello della linea di spiaggia, ma all’interno pare vi fosse un piano regolatore ortogonale (di tipo ippodameo). È ancora poco conosciuto ma, per esempio, il tempio di “Cappiddazzu” e il bacino del Kothon, ben distanti l’uno dall’altro, sono orientati allo stesso modo e le loro misure sembrano derivate dallo stesso modulo.
In siffatto confronto con vari tipi di ambienti, e d’architettura, abbiamo tentato di indagarne alcuni esempi rappresentativi o di una importanza speciale, localizzati a nord, a centro e a sud dell’antica città. Cominciamo la nostra rassegna da nord.
Qui l’imponente Porta Nord, conosciuta già nel Settecento, è un’entrata fiancheggiata da due potenti bastioni poligonali e dà accesso ad un importante quartiere della città, dove si trovano i ruderi del tempio del cosiddetto “Cappiddazzu”; nella direzione opposta una strada esce verso il mare, dove un argine conduce alla terraferma nei pressi di Birgi. I nostri scavi hanno aumentato le conoscenze di questi monumenti e ne hanno definito certi particolari. Così, il bel muro isodomo a blocchi squadrati vicino alla porta risale all’inizio del VI secolo, mentre i bastioni sono stati inseriti più tardi - il bastione occidentale dopo il 500 a. C. Davanti alla porta due edifici sacri fiancheggiavano la strada: quello ad ovest originariamente di tipo greco, l’altro di difficile interpretazione. La strada stessa presentava una sequenza di tre fasi: la prima era destinata ai pedoni, le altre due, pavimentate (la seconda rozzamente, l’ultima assai bene), erano carrozzabili: nell’ultima fase si vedono chiaramente i solchi lasciati dalle ruote dei carri. Quanto all’argine della laguna, era anch’esso pavimentato e largo originariamente da ca. 7 m. Oggi si trova sotto il livello d’acqua dello Stagnone., che pare sia aumentato di circa 50 cm o più. Nelle immediate vicinanze dell’isola alcuni piccoli bacini portuali erano attaccati all’argine.
Tracce dell’assedio finale di Mozia nel 397 a. C. si vedevano dappertutto: la strada era tagliata vicino alla costa e c’erano possibili indicazioni di una barricata; i piccoli santuari furono abbattuti; e punte di freccia erano sparse ovunque. Nella nostra prima campagna (1955), abbiamo pure scavato due piccole trincee nel santuario del “Cappiddazzu” ove - nella navata centrale del tempio della fine del V secolo - è stato identificato un edificio anteriore assai rozzo, risalente al VII-VI secolo. Quel saggio fu allargato più tardi grazie agli importanti scavi diretti dal soprintendente Tusa con l’aiuto di abili assistenti: la cronologia da loro proposta non differisce tanto dalla nostra, ma la situazione generale si capisce meglio adesso.
Nel centro dell’isola abbiamo eseguito alcune trincee di esplorazione. Una, che attraversa la parte iniziale di una valletta che digrada allargandosi gradualmente nel suo corso verso il Kothon, indica che la zona centrale di Mozia non era densamente coperta di edifici nel VI e V secolo: pare che vi fossero cortili o giardini. Non abbiamo incontrato segni della presenza di strutture significative in questi saggi.
Passiamo adesso alla regione di Porta Sud, quella dove venne concentrato il nostro massimo sforzo: abbiamo qui studiato un quartiere dell’abitato, le fortificazioni e il bacino del Kothon con il canale di accesso allo Stagnone. Il Whitaker aveva già rivolto l’attenzione a questi paraggi - pensava che qui vi fosse un quartiere marittimo -, ma non aveva approfondito le sue ricerche, forse a causa della distruzione generale lasciata dall’ultimo assedio del 397 a. C. Nonostante lo stato assai rovinato degli edifici dell’ultimo strato, abbiamo potuto qui dimostrare l’esistenza di tre periodi di occupazione, assai ben databili. La scoperta più importante del I periodo (VII secolo a. C.) era un grande edificio forse destinato ad uso commerciale, paragonabile ad un “baglio” moderno. Verso il 600 a. C. le macerie della I fase furono livellate per ricevere le fondamenta di altri edifici, parte dei rilevanti sviluppi che fecero di Mozia una vera e propria città. Non solamente la grande costruzione già menzionata fu rinnovata, ma c’erano altre case (una delle quali venne più tardi coperta in parte dal muro di cinta); inoltre pare che il complesso del Kothon col canale fosse stato costruito nello stesso periodo: uno spesso strato di fango nero e grigio, posto non lontano dalla futura linea di difesa, proveniva forse dalla loro costruzione. Dall’altro lato del futuro muro e in parte da questo coperto, abbiamo messo in evidenza i ruderi di ciò che pare essere stato un muro di tipo a “casematte”, sistematicamente smantellato quando il muro di cinta fu costruito.
Questo muro venne eretto più tardi nel corso del V secolo (dopo il 450 a. C.). Gli edifici della II fase furono ricostruiti in un modo completamente diverso, ed un complesso di case fu innalzato sul grosso ammasso di fango. Allo stesso tempo vennero erette le attuali mura della città con la Porta Sud costituita da due paramenti che rivestivano un ammasso di mattoni crudi su di una base composta da lastre di pietra. Sopra il muro c’era probabilmente un passaggio pavimentato (cioè il cammino di ronda) con un parapetto merlato la cui parte superiore era arrotondata, e con delle grondaie di pietra per il deflusso delle acque piovane. Un potente bastione e due torri che bloccavano l’entrata del Kothon furono apparentemente aggiunti più tardi. Quanto alle case dentro il muro, le loro rovine rozzamente costruite paiono molto povere, ma originariamente era coperte di intonaco e i tetti consistevano di belle tegole; inoltre c’erano pozzi e una cisterna che riceveva l’acqua da sopra il muro di cinta per una tubazione consistente d’elementi di terracotta. Nientidimeno, le case ricche vicino Porta Nord erano d’un tipo superiore.
Questa fu la città che sostenne il grande assedio. Se ne possono scorgere i preparativi nelle due grandi fosse scavate per ottenere materiali per la difesa all’interno delle mura, per esempio per bloccare la Porta Sud. Allo stesso modo le case nelle immediate vicinanze delle mura furono rase al suolo e un muro curvo fu costruito internamente alla porta, forse parte di un grande recinto circolare che girava intorno al Kothon, in qualche modo simile a quello di Cartagine. Mozia cadde, e pare che nessuna struttura importante sia stata eretta in questa parte dell’isola dopo la distruzione.
Quanto al complesso costituito dal bacino del Kothon con il canale di accesso, l’abbiamo scavato a secco dopo averlo prosciugato per mezzo di una potente pompa idrovora. La data di costruzione si può forse porre verso la fine del VI secolo a. C., oppure all’inizio del V. L’entrata nel canale è oggi nascosta nello Stagnone: avevamo sperato che con un apparecchio sonar fosse possibile studiare la zona dell’approdo sott’acqua, ma il prof. Harold Edgerton, che doveva condurre questa indagine, scoprì che il lavoro non si poteva eseguire a causa della scarsa profondità delle acque dello Stagnone. Nel punto in cui il canale diviene visibile è scavato nel tufo e si restringe verso nord. Più vicino al muro di cinta, il canale è fiancheggiato da larghe banchine costruite a blocchi ben squadrati, e all’interno della fortificazione, oltre alle banchine ai due lati, c’è anche una pavimentazione nel fondo.
La parte più stretta del canale ha una larghezza di m 5,30; la pavimentazione, alla profondità di metri 1,75 ca. dalla superficie della banchina, presenta lungo la linea centrale un solco longitudinale, a sezione curva, largo cm 54 e profondo ca. cm. 13,5. Questo solco poteva accomodare facilmente la chiglia di una nave entrante: il livello d’acqua in quel periodo non avrebbe superato la profondità di un metro circa. Tutta questa installazione sarebbe stata utile allo scarico di mezzi e passeggeri, ma poteva inoltre servire come cantiere per riparare o carenare navi. Non è certo se qui esistesse o meno una chiusa verso lo Stagnone.
Nell’ultimo periodo di vita della città (fine del V secolo) il canale non era più usato per la navigazione, e non era più mantenuto pulito. Sul fondo pavimentato si accumulò uno spesso strato di fango contenente molti cocci: sembra che il canale servisse come scarico di immondizie. Su questo fango fu eretto un muro trasversale di chiusura, notato già dal Whitaker, forse pure come un ponte. Più avanti, verso il bacino del Kothon, il canale per gli ultimi 23,50 m non era delimitato da banchine né pavimentato. Questo tratto serviva di collegamento col bacino, verso il quale si allarga molto. Era accessibile a imbarcazioni di piccole dimensioni, lunghe non più di 19 m, larghe fino a 4,50 m, e con un pescaggio (profondità d’immersione) di 1 metro. Tali erano di solito quelle che si usavano recentemente nello Stagnone. Pare che anche in questa parte del canale la navigazione non fosse possibile nell’ultimo periodo di vita della città: lo strato di fango pieno di cocci si trovava anche qui. Ma precedentemente il bacino doveva essere indubbiamente navigabile. Quale era il suo scopo? Passiamo in rassegna le testimonianze.
Attualmente il bacino del Kothon è lungo m 51, largo m 35,5 al sud, minima verso nord, con una profondità massima di m 2,50. È situato in un ampio avvallamento naturale (quello che scende dal centro dell’isola) ed è circondato da pareti a blocchi squadrati, la cui parte superiore può essere più recente, mentre i filari sottostanti - specialmente vicino l’angolo sud-ovest - potrebbero risalire ad un periodo anteriore, forse alla stessa epoca in cui furono costruite le banchine lungo la parte meridionale del canale. Oggi non si vede niente che indichi chiaramente lo scopo del bacino originario (si dovette ben presto abbandonare la nostra idea che la presenza di strutture come magazzini fosse indicata da certi risultati geofisici). Tre sono le ipotesi finora avanzate: il Whitaker pensò che il bacino fosse un porto interno (Kothon); il Mingazzini lo interpretò come un luogo sacro; e noi abbiamo suggerito che questo fosse un bacino di carenaggio. È difficile decidere in base alle tracce esistenti. Non si vedono indicazioni che qui c’era un santuario importante. Non abbiamo trovato nessun rudere di un tempietto nel bacino stesso come quello d’Amrit nella Siria, e il fondo del bacino non era pavimentato, ma fu lasciato nella sua condizione naturale. Alcuni frammenti architettonici, posti nelle mura intorno al bacino (come parte d’una colonna), non sono indicazione della presenza d’un edificio di importanza speciale. Quanto a un possibile uso per porto, il bacino sarebbe stato utile solamente per piccole barche e di piccolo pescaggio. Visto invece che la profondità d’acqua diminuisce da Sud verso Nord, questo bacino infatti sarebbe stato utile per un carenaggio, ma mancano fin ora tracce di rampe usate per tirare le navi al secco. Si deve sperare che scavi addizionali possano chiarificare la situazione. Non si deve dimenticare che questa zona dovette subire notevoli cambiamenti nel Medio Evo o dopo, quando il bacino funzionava come salinella o come vivaio per pesci. Ma la questione più importante è se il Kothon fosse accessibile dal canale nell’antichità o meno. Attualmente il muro sud del bacino si estende senza interruzione attraverso lo sbocco del canale e lo ostruisce. Pare che il muro di chiusura - quale oggi si vede - debba risalire all’ultimo periodo della storia della città o forse anche dopo. Purtroppo non si possono distinguere con certezza i segni di un eventuale blocco posteriore inserito in un’apertura più antica: nella muratura c’è forse una giuntura verticale nella parte occidentale, ma non ce n’è un’altra corrispondente verso est. Nell’ultima fila di pietre di sotto una parte non è regolare; indizio, questo, che potrebbe indicare un blocco. Una volta chiuso, il bacino non aveva una funzione ovvia, come abbiamo già visto.
Abbiamo presentato una descrizione succinta delle nostre ricerche a Mozia, e speriamo che abbiano dato un utile contributo alla conoscenza archeologica dell’isola. Allo stesso tempo i nostri colleghi italiani hanno intrapreso scavi estensivi e fruttuosi. Ma finora solo una piccola parte dell’isola è stata investigata. Molte missioni potrebbero scavare qui per parecchi anni senza indagare tutto, e trovare monumenti ed oggetti insperati, dando così un notevole contributo all’archeologia fenicio-punica. Vale la pena di proseguire le ricerche per studiare soprattutto il tessuto urbano generale e le funzioni urbanistiche delle varie regioni o quartieri dell’antica città punica; l’uso di metodi geofisici (i quali hanno fatto un progresso stupendo recentemente) potrebbe offrire un aiuto prezioso. Sarebbe inoltre necessaria un’indagine sistematica non solo nell’isola, ma anche nel territorio vicino, sulla terraferma. E lo studio del commercio moziese potrebbe condurre a ricerche che implichino connessioni con regioni più lontane.
Tutto questo vale per il futuro: per il momento possiamo solamente ringraziare vivamente tutti coloro che ci hanno dato la possibilità di lavorare in questo luogo meraviglioso ed augurare buona fortuna ai nostri successori.
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