Il Melqart di Sciacca

di Giuseppe Stabile
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MelqartLa statuetta bronzea di fattura fenicia, rinvenuta nel 1955 nelle acque antistanti Selinunte da alcuni marinai saccensi, costituisce un unicum nel suo genere e non ha ancora trovato confronti in Italia. Il bronzetto, sin dal suo rinvenimento, suscitò una serie di diatribe tra gli studiosi; infatti inizialmente il Chiappisi (che si occupò per primo del reperto in questione) lo identificò come Melqart e lo associò all'area siro-palestinese ed in particolare ad un analogo manufatto proveniente da Ras-Shamra. Egli lo datò al XII-XI sec. a.C.
Poco dopo D. Harden rivoluzionò la precedente tesi considerando la statuetta come produzione cananea; ne alzò quindi la data all'epoca del Tardo Bronzo (XIV-XIII sec. a.C.) e sostenne inoltre che fosse arrivato sulle coste siciliane tramite vettori micenei. Questa tesi fu accettata da A. M. Bisi che concordò sia sulla data che sull'apporto miceneo; ne cambiava, tuttavia, l'origine considerando  la statuetta come produzione cipriota poiché era convinta che il reperto fosse di rame rosso. Una volta accertato che il pezzo era in bronzo, la tesi della Bisi venne soppiantata dalle nuove considerazione di V. Tusa che identificò nel “melqart” una delle prime espressioni dell'espansione fenicia nel Mediterraneo occidentale. Lo studioso sostenne inoltre che si trattava di una produzione ugaritica ascrivibile al XIII-XII sec. a.C. Quanto all'identificazione della statuetta tanto Tusa quanto la Bisi ipotizzavano si potesse trattare di Adad o Reshef piuttosto che di Melqart poiché non vi sono testimonianze della rappresentazione di questa divinità anteriori al I millennio a.C. Tutte queste teorie sono state riviste e corrette da G. Falsone che ha abbassato ulteriormente la datazione del bronzetto all'età tarda del Ferro, e tale considerazione sembra trovare riscontro sia nella produzione coeva siro-palestinese, sia nei simili reperti trovati nella penisola iberica.
Il bronzetto rappresenta una figura virile gradiente nella posa del “dio abbattente”: ha la gamba sinistra avanzata, il braccio destro levato in aria, il sinistro abbassato con l'avambraccio proteso in avanti. Entrambe le mani sono serrate a pugno e attraversate da due fori che dovevano ospitare degli attributi oggi andati perduti. Il personaggio, barbato, porta  in testa una corona il tipico atef  fenicio, ha il petto nudo e indossa lo shenti, gonnellino di foggia egiziana. Il bronzo, lavorato con la tecnica della cera persa, è alto 35 cm ed era fissato ad un piedistallo tramite due tentoni oggi assai rovinati. La superficie della statua è corrosa soprattutto nella parte posteriore a causa dell'ambiente marino in cui era sepolta; ciò ha fatto sì che alcuni dettagli anatomici e della veste andassero perduti. Le parti meglio conservate sono l'atef, il collo, i piedi e la gamba sinistra; risultano invece molto rovinate la gamba destra e la mano sinistra che è mutila della sua parte anteriore. La figurina, alquanto slanciata, presenta gli arti assai sottili, le proporzioni anatomiche sono rispettate seppur il braccio sinistro è visibilmente più corto.
La resa della parte superiore del torso risulta alquanto schematica quasi si trattasse di un solido geometrico con facce e spigoli netti. La parte inferiore del corpo risulta invece più plastica con la resa dell'allargamento dei fianchi, dell'andamento delle gambe e dal lieve rigonfiamento della parte inferiore dell'addome.
Il volto è caratterizzato da una lunga barba a punta che doveva essere distinta sulle gote da una linea incisa continua di cui resta un breve tratto sul mento. La linea della bocca è appena accennata, gli orecchi sono prominenti, le cavità oculari molto profonde così come le sopracciglia dovevano essere distinte dal resto dei tratti del viso tramite l'impiego della tecnica dell'incrostazione mediante l'utilizzo di altro materiale.
L'atef, tipico attributo di Osiride, è reso in maniera canonica ed è costituito da un'alta tiara fiancheggiata da due piume di struzzo stilizzate e terminante con un puntale a bottone.
Lo shenti, che dalla vita scendeva fino al ginocchio, doveva essere movimentato, nella parte anteriore, da incisioni che risultano oggi poco visibili; non v'è traccia della cintura che serrava il gonnellino sui fianchi e dei due teli laterali ricurvi; ben delineato è invece il telo centrale che è reso in maniera tridimensionale e pende tra le gambe.
Incerti risultano gli attributi retti nelle mani della divinità: dalle coeve rappresentazioni possiamo ipotizzare che questa fosse quasi certamente armata e rispettivamente un oggetto verticale (una lancia o una saetta ?) era impugnato nella mano protesa mentre in quella levata era tenuta orizzontalmente un'ascia o una mazza. La mano levata risulta, inoltre, avanzata rispetto all'asse verticale della figura; ciò implica che l'arma doveva trovarsi davanti alla testa vicino alla fronte come un analogo esemplare proveniente da Meggido.
Il Melqart di Sciacca rientra in una nota classe di scultura in bronzo di accezione siro-palestinese, quella del dio abbattente. Questo tipo iconografico, che trova la sua primitiva genesi in Egitto, è caratterizzato dal braccio destro levato in alto nell'atto di scagliare e rappresenta una divinità in atteggiamento bellicoso. Si tratta con ogni probabilità del dio della tempesta contemplato nel pantheon cananeo sin dal II millennio a.C.; ciò  ha fatto sì che i numerosi esemplari venissero riconosciuti di volta in volta come Adad, Reshef, Baal o Teshub ma essendo in genere anepigrafi risulta quanto mai difficoltoso dare a questi bronzi un'identificazione certa. Questa produzione artistica è rappresentata grandemente nell'area siro-palestinese da ben 150 esemplari, solo pochi provengono da altre aree quali l'Anatolia, l'Egitto, Cipro, l'Egeo e l'occidente punico. Cronologicamente parlando il tipo statuario della divinità abbattente s'inserisce nel tardo Bronzo (1550-1200 a.C.) e sembra esaurirsi nell'età del Ferro recente; tuttavia esistono bronzetti riferibili ad un periodo ancora più tardo. Cito in tal senso le statuette femminili di divinità abbattente di sicura produzione fenicia databili tra il IX e il VII sec. a.C. e due bronzi maschili provenienti dall'Heraion di Samo in un contesto di 710/640 a.C. di fattura orientale. Il primo, provvisto di barba e tiara a corna di tipo nord-siriano è stato rinvenuto in un contesto più recente. L'altro, con atef in testa, è datato nel I millennio a.C. e potrebbe trattarsi di una divinità creata da artisti fenici residenti in Egitto. Oltre agli esempi appena citati riscontro la medesima iconografia anche in rilievi  rappresentanti il dio Reshef provenienti sia dall'area settentrionale della Siria sia dall'Anatolia; gli esemplari più emblematici in tal senso risultano la stele di Til-Barsip e la stele di Amrit dove la divinità è rappresentata sul dorso di un leone, iconografia sperimentata nello stesso periodo anche sulle coppe a sbalzo e nella glittica fenicia.
Alla luce di quanto affermato, si deduce che il tipo iconografico della divinità abbattente ebbe una lunga vita; nel repertorio artistico fenicio è quindi plausibile che ancora nel I millennio tale classe artistica trovasse ancora grande espressione; ciò quindi potrebbe confermare la datazione bassa della statuetta siciliana suggerita da Falsone.
Ulteriori conferme sembrano potersi acquisire dallo studio di alcuni elementi stilistici come la barba che compare solo nella produzione fenicia più tarda; infatti i bronzetti siro-palestinesi di II millennio a.C. sono per lo più imberbi; solo due esemplari riferibili all'epoca del Bronzo ne sono provvisti, tuttavia la barba è resa  in rilievo e non a tutto tondo come nella statuetta qui presa in esame. Più stringenti sembrano invece i confronti con la stele ugaritica di El e con le stelai egiziane del Nuovo regno dove il dio della tempesta è reso di profilo e con la tipica barba aggettante a punta; ciò fa pensare che siffatto dettaglio anatomico reso in maniera plastica sia stato un elemento stilistico elaborato in Egitto e solo dopo un millennio introdotto in area semitica; quindi, se accettiamo come fenicia la fattura del bronzo siciliano, dobbiamo necessariamente abbassarne la data in conseguenza della considerazione appena fatta. Altro dato interessante è costituito dalle dimensioni della statua che è alta ben 35 cm; essa è in pratica uno degli esemplari maggiori che si conoscano. Nella produzione siro-palestinese del tardo Bronzo non esistono esemplari di tali proporzioni. L'unico reperto con cui è possibile fare un confronto è il dio lingotto da Enkomi di fattura cipriota e databile al XII sec. a.C. Nel I millennio le dimensioni delle statue bronzee del dio abbattente aumentano; possiamo segnalare come esempi i bronzetti provenienti dall'Heraion di Samo, quello scoperto a Barra de Huelva o ancora i quattro esemplari da Cadice.In ultimo posso accertare con buona sicurezza che la datazione alta (XII-XI sec a.C.)  del “Melqart” così come la fattura cipriota sia da scartare, mentre concordo con la data del I millennio a.C.  che sembrerebbe coincidere inoltre con la grande espansione fenicia di cui parla Tucidide. Alla luce di ciò non posso escludere che la statuetta sia pervenuta presso le coste siciliane alla fine dello VIII sec. a.C. al tempo delle prime fondazioni greche nell'isola.



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