Michele Amari, il grande arabista siciliano, nella sua opera del 1875 sulle epigrafi cufiche di Sicilia menziona le iscrizioni su tre colonne in marmo a Trapani, due alla Biblioteca Fardelliana ed un’altra oggi al Museo Pepoli, la cui importanza per la storia della città e per l’arte araba in Sicilia è stata finora piuttosto sottovalutata. Le colonne della Fardelliana furono trovate nel 1574 durante lo scavo delle fondazioni della chiesa di S. Rocco, dove rimasero sin quando fu fondata la Biblioteca Fardelliana, nel 1830: da allora le colonne furono inserite nella sala di lettura, munite di basi e di capitelli di XVI secolo. L’altro fusto entrò nelle collezioni del Pepoli solo all’inizio del secolo scorso, proveniente dalla Biblioteca Fardelliana e prima da una collezione privata.
I fusti della Fardelliana sono monolitici in marmo proconnesio (alti ciascuno m 2,81), certamente ricavati da fusti di età romana alti m 2,96, ovvero 10 piedi romani. Il collarino sul sommo scapo è decorato da un arabesco a tralci intrecciati che si ritrova anche in colonne tunisine di XI secolo (soprattutto a Kairouan). Ambedue tali fusti hanno iscrizioni in caratteri cufici, il tipo più antico di scrittura araba. Sulla colonna a sinistra entrando si legge: Bismillah al-Rahman al-Rahim. Thiqati bi-Llah («Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso. Mi affido in Dio»). Su quella a destra: Bismillah al-Rahman al-Rahim. Hasbi Allah («Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso. La mia fiducia, in Dio»). Si possono assegnare le due colonne alla fine del secolo XI. Il fusto conservato al Museo Pepoli, spezzato, alto al massimo m 2,15 (ma in origine anch’esso alto m 2,96 ovvero 10 piedi romani), è in marmo detto «cipollino», cavato in Grecia durante l’età romana imperiale: anch’esso può dirsi un fusto antico rilavorato. In origine, era conservato presso la “casa Emanuele”, nell’isolato della chiesa di S. Maria di Gesù (bombardato nel 1943); già a fine ’800 passò alla Biblioteca Fardelliana e poi al Museo Pepoli di Trapani, dove attualmente è custodito, assieme ad altre epigrafi arabe trovate nel trapanese e collocate in una sala apposita. Il fusto presenta un’iscrizione cufica, pubblicata anch’essa dall’Amari, a rilievo e su due righe: Wa-ma tawfiqi illa bi-Llah («e non favore se non da Dio»). Riteniamo di doverla datare al pieno X secolo, per i caratteri simili all’epigrafe cufica di Termini Imerese, del 964 d.C.
Le notizie sul luogo di reperimento delle colonne sembrano situarle in due zone diverse. Quella più antica era nel quartiere “San Pietro”, sito originario della città, che fino alle soglie del XIV secolo avrebbe costituito l’unico settore costruito nella penisola falcata: il fusto del Pepoli poteva ben essere collocato in un edificio della città araba (tradizioni orali trapanesi nell’800 attestavano un “palazzo dell’emiro” in questo quartiere).
Le altre due colonne invece provengono dal quartiere “Palazzo”, costruito solo nel 1293 da Giacomo d’Aragona, fuori della cinta urbana di età araba e normanna. Anche prima del 1293, però, esistevano edifici in questo settore cittadino, in particolare fondaci (uffici mercantili) di Genova (S. Lorenzo), Firenze (Porta Ossuna) e Alessandria d’Egitto (presso S. Francesco). In questa parte della città dovette nascere un quartiere commerciale e portuale, intorno alla fine del secolo XI, forse con un fondaco legato a commercianti di porti della Tunisia: qui avrebbero portuto trovare posto le colonne della Fardelliana, in posizione importante e in un edificio religioso, forse un mihrab, la nicchia affiancata da colonne che indicava, in una moschea, l’orientamento verso La Mecca.
Su questo argomento ho pubblicato un articolo in Sicilia Archeologica XXXVII, 2004, pp. 129-149; l’indagine sulle colonne arabe siciliane continua, in collaborazione con M. Giacalone, laureato in Conservazione dei Beni Culturali, autore dei rilievi. Ringrazio qui anche Marisa Famà, direttore del Museo Pepoli, e Margherita Giacalone, direttore della Biblioteca Fardelliana, la cui collaborazione ha consentito il mio studio. Per la lingua araba, mi sono rivolto per aiuto ad Antonino Pellitteri, professore di Storia dei Paesi arabi all’Università di Palermo, e ad Aldo Nicosia, laureato in lingua e letteratura araba presso l’Istituto Orientale di Napoli.
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