Joseph Whitaker aveva considerato questo sito un cimitero a cremazione; Enzo Titone nel 1962 lo identificò con la ben nota struttura del tophet, pur sempre un luogo di sepoltura ma riservato alle vittime dei riti sacrificali: i bambini.
Una persona poco esperta, per quanto interessata, passeggiando per le viuzze dell’isoletta, può non accorgersi che quello sia un tophet e la sua immaginazione può non lasciarsi trasportare da quella suggestione che avvolge quest’area sacra a cielo aperto situata sulla spiaggia, fulcro di un costume rituale molto diffuso in Palestina fra i Cananei, anche se manca in proposito una vera e propria documentazione.
Il primo atto compiuto al momento della fondazione di una nuova colonia era infatti la consacrazione del lembo di terra sul quale era avvenuto lo sbarco, atto che si compiva sulla spiaggia o su un luogo alto: veniva immolata la vittima sacrificale e le ceneri raccolte erano disposte in un vaso su cui si erigeva una pietra a ricordo del momento; il susseguirsi poi dei sacrifici faceva nascere strato su strato il tophet.
Il più noto è senza dubbio il tophet di Cartagine per il quale, grazie ad una ricerca del Semitic Museum dell’ Harvard University, è stata dimostrata la perpetrazione del rito dall’VIII secolo fino al 146 a.C., mentre per quanto riguarda il tophet di Mozia ci si ferma al 397 a.C., anno della distruzione della città fenicia da parte di Dioniso I il Vecchio, tiranno di Siracusa.
Quello che resta oggi di uno dei tophet dei centri fenicio-punici più antichi in area meridionale è costituito da una serie di stele votive e di cippi posti a ricordo delle vittime; sono altresì visibili i resti di una costruzione templare. Ad essere sacrificati a Cartagine, e verosimilmente in ogni colonia, erano i primogeniti maschi; i sacerdoti, unici ad avere accesso alla struttura, compivano il rito in onore di due divinità, Tanit e Baal Hammon, generalmente associate nel culto.
Grazie alle iscrizioni sulle stele si è risaliti alla devozione particolare dei Moziesi per il dio Baal Hammon, al quale era probabilmente dedicato il santuario. Una divinità questa, i cui caratteri particolari sono ancora molto controversi: certo è che in determinate circostanze, quali guerre, epidemie, inizio d’anno, le venivano offerti in sacrificio i bambini letteralmente bruciati vivi; già nella Bibbia si parla di sacrifici compiuti in alture, su di un luogo chiamato tophet, allo scopo di farvi “passare per il fuoco” bambini per Moloch, antecedente del dio Baal Hammon; ma oggi è ormai chiaro che le scritte sulle stele indicanti il termine molk-moloch servivano a designare, più che un dio, il sacrificio per lui celebrato.
Essendosi perpetuato così a lungo, questo rito ha subìto nel corso dei secoli dei mutamenti; le stele difatti costituiscono già una variazione rispetto all’originale che prevedeva appunto il passaggio per il fuoco delle vittime prima della loro sepoltura e l’immolazione anche di agnelli e uccelli, come testimoniano i resti di animali che talora sostituivano la vittima umana.
Il ritrovamento di così numerose stele, di cippi e vasi nei vari tophet ha contribuito ad accreditare la cruenta immagine dei Cartaginesi quali sanguinari assassini, ma un esame attento delle urne ritrovate ha portato ad un ripensamento di questa convinzione.
Resti di feti e deposizioni di più fanciulli di età diverse nello stesso vaso farebbero pensare, più che a gravidanze finalizzate al sacrificio, a decesso per malattia e morte prenatale; altra testimonianza è data dal fatto che nelle necropoli si trovano scarse sepolture di fanciulli, mentre sappiamo dell’alto tasso di mortalità infantile esistente e dell’ infanticidio dovuto alle malformazioni.
Dunque è verosimile (ed è questa l’opinione espressa da Sabatino Moscati) che nel tophet fossero sepolti, dopo essere stati bruciati, i resti di bambini morti per cause diverse dal sacrificio.
È comprensibile come autori classici fossero propensi a tutt’altra spiegazione. Così, ad esempio, Diodoro Siculo che nel I sec. a.C. scriveva di un sacrificio di centinaia di giovani a Cartagine; da non dimenticare poi è l’orrida scena ricostruita da Flaubert nel suo romanzo Salammbò, in cui decine e decine di fanciulli vengono immolati ad un dio assetato di sangue.
Letteratura a parte, il mistero dei tophet ci affascina tutt’oggi per la sua imperscrutabilità, prezioso elemento di conoscenza di una civiltà da noi così lontana, eppure per certi aspetti non del tutto dissimile dalla nostra.
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