La città di Himera sorge su un ridente pianoro di forma triangolare, bagnato dalle sacre e vitali acque di un fiume, dal quale ha preso il nome. Colonia greca di notevole importanza, svolge il ruolo di avamposto ellenico verso il cartaginese occidente siciliano. Com’è noto, infatti, ad oriente di Himera sorgevano le colonie della ricca Grecia siceliota, di cui tra le più importanti ricordiamo Zancle (che in seguito mutò il suo nome in Messina), Siracusa, Myles (oggi Milazzo), mentre ad est era dominante l’egemonia di Cartagine. La sua fondazione, secondo Tucidide, si deve a un gruppo di Calcidesi di Zancle sotto la guida di Euclide, Simo e Saccone, e ad una gens siracusana in esilio a causa della guerra civile scoppiata in quel periodo nella città aretusea.
Secondo alcuni studiosi sembra, però, inverosimile che un luogo così rigoglioso e accogliente non sia stato precedentemente abitato da popolazioni indigene. Si fa strada allora l’ipotesi che i nuovi coloni abbiano ampliato un sito preesistente che lo stesso Cicerone definisce “oppidum quoddam in primis Siciliae clarum et ornatum”. Le diverse origini degli abitanti di Himera hanno reso gli usi e i costumi della città diversi da quelli della tradizione greca: oltre agli dei dell’Olimpo, si tendevano a divinizzare corsi e fonti d’acqua, come nella religione sicana, mentre dal punto di vista linguistico sono chiare le influenze del dialetto dorico e corinzio apportate dai Siracusani.
La sua rilevanza, oltre che strategico-militare di avamposto greco, si deve allo sbocco che essa aveva nel Tirreno e alla conseguente possibilità di commercio con l’Etruria e la Spagna dalla quale provenivano le copiose quantità di argento usate per coniare moneta, peculiarità questa che la distingueva dalle altre colonie greche.
Fu proprio la vicinanza al mare a segnare il suo destino. Nel 480 a.C. Terone, tiranno di Akragas, invase Himera, per appropriarsi di una città che poteva garantirgli l’accesso ad un porto della costa settentrionale della Sicilia, con tutti i vantaggi commerciali che ne conseguivano, mettendo in fuga Terillo, despota di Himera. Quest’ultimo, allora, chiamò in suo soccorso i Cartaginesi che giunsero in Sicilia con un notevole spiegamento di forze militari. L’esercito punico, sotto la guida di Annibale, era costituito di circa trecentomila uomini e più di duecento galere e altre navi.
Terone, preoccupato dal massiccio contrattacco cartaginese, chiese aiuto a Gelone di Siracusa. Grazie al suo intervento i Greci inflissero una pesante sconfitta ai Cartaginesi e, come scrive Diodoro, soltanto pochi di essi tornarono in patria, annunciando che i loro compagni erano tutti morti. Furono costruiti templi e coniate speciali monete per celebrare la vittoria che la tradizione vuole sia avvenuta lo stesso giorno della celeberrima battaglia di Salamina. Il successo militare portò inoltre un periodo di pace e prosperità durante il quale la città poté svilupparsi anche artisticamente e culturalmente.
Questa fase fu bruscamente interrotta nel 408 a.C. quando Annibale, nipote di Amilcare, decise di vendicare la sconfitta subita dai suoi avi. Dopo aver saccheggiato Selinunte, si diresse infatti verso Himera, non più protetta dall’esercito siracusano. Questa volta i Cartaginesi ebbero la meglio: Himera fu completamente distrutta ed i suoi abitanti trucidati o deportati a Cartagine. Il colpo sferrato dai Punici segnò definitivamente la rovina della città. Qualche anno più tardi, dietro compenso, venne concesso ai deportati di tornare in Sicilia per popolare la Thermae, fondata dai Cartaginesi nel 407 a.C., insieme con altri coloni di origine africana.
Purtroppo la sanguinosa disfatta di Himera, i secoli e l’incuria moderna (ricordiamo che gli scavi sono iniziati solo in tempi relativamente recenti) ci hanno negato un patrimonio artistico di grandissimo valore. Tuttavia, grazie anche agli studi compiuti dal dipartimento di archeologia dell’università di Palermo, è riemerso il tracciato urbanistico della città.
Himera constava di tre rioni. I quartieri sud e nord sorgevano sul pianoro triangolare, dove la parte più settentrionale ospitava l’area sacra (che non comprende, però, il Tempio della Vittoria). A nord-est troviamo le abitazioni del quartiere est e sul lato occidentale della città la necropoli.
Come in altri centri ellenici il canone dell’ortogonalità era strettamente rispettato. La planimetria del reticolato stradale è costituita da una scansione ritmica degli isolati e delle vie, rigorosamente parallele ed equidistanti (circa 32 m.). La mancanza di un incrocio centrale ci fa supporre che piazze ed edifici pubblici si trovassero in zone destinate ad abitazione, senza che però venisse intaccato lo schema del tessuto urbano.
Dell’area sacra, che risultava isolata dalla struttura abitativa della città, gli elementi principali sono quattro templi e un altare.
La parte più consistente dei ritrovamenti è costituita dal tempio della Vittoria che presenta caratteristiche simili a quella dei templi agrigentini, facendo supporre che le maestranze che si occuparono della sua costruzione provenissero da Akragas. Di esso si dice che sia stato costruito nel 480 a.C., proprio sul terreno in cui fu combattuta la battaglia, e che per ciò venne detto anche tempio della Vittoria.
Si tratta di un tempio in stile dorico probabilmente dedicato a Zeus che precede la cella e di un pronao sul retro della cella uguale per forma e dimensione a quello anteriore. Durante gli scavi prospicienti al tempio sono state ritrovate cinquantasei grondaie a forma di testa di leone, probabilmente opera di diversi scultori; altri scavi nel themenos (l’area sacra) hanno fatto emergere un paio di schinieri di bronzo assieme a frammenti di armi ora custoditi presso il Museo Archeologico Regionale di Palermo.
Chi si reca a visitare gli scavi trova un Antiquarium dove sono conservati alcuni dei reperti ritrovati.
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