Sulla scorta dell’interessante progetto denominato “Itinerario di Guido Dalla Rosa nel trapanese”, elaborato dal Centro Studi omonimo per la tutela, ricerca, valorizzazione della fascia costiera settentrionale trapanese, proponiamo un interessante itinerario lungo le suggestive grotte preistoriche comprese tra S. Cusumano, Golfo di Bonagia e Monte Cofano.
Le grotte narrano, attraverso i loro segni, di tribù dell’epoca paleolitica sfuggite all’ultima glaciazione: esse ospitarono le prime forme organizzate di vita. Nella profondità delle caverne, l’uomo si rifugiava con vecchi e donne attorno al fuoco; molluschi marini, carne di cervo, di cavallo, di capra, di maiale e midollo estratto dalle ossa costituivano i suoi pasti che cuoceva sul fuoco, come testimoniato dai molti carboni ritrovati nella breccia ossifera delle caverne. Si vestiva di pelli di capra e di pecora, tolte agli animali per mezzo di punteruoli, come attesta il ritrovamento di essi tra gli utensili e le armi in pietra. Celebrava riti propiziatori, di seppellimento, culti primitivi nei quali si avvertono la paura del mistero che circonda l’uomo e il senso dell’origine, la speranza della sopravvivenza e il primitivo mito dell’immortalità.
I reperti ritrovati, strumenti in selce classificabili soprattutto in bulini, grattatoi, punte di lama, frecce, materiale osseo animale, carboni e tracce di grano abbruciacchiate, evidenziano le capacità tecniche di quegli antichi abitatori della Sicilia occidentale in grado di passare da signori della caccia a raccoglitori di frutti pendenti, a coltivatori di graminacee e consumatori di prodotti della pastorizia.
Tra le prime caverne esplorate dal marchese Dalla Rosa, docente di calcolo sublime presso l’Università di Parma, è la Grotta Martogna, detta anche da molti “di lu Tauru” (del Toro), che si incontra lungo l’affascinante tragitto che dall’antica Tonnara di S. Cusumano conduce a Pizzolungo, a nord delle pendici del monte Erice, tra panorami ampi e solari: è proprio quella che presenta le maggiori tracce delle successive occupazioni dell’uomo.
Ai tempi dei Saraceni, l’ingresso della grotta fu coperto da un’opera di difesa, della quale si scorgono ancora due pilastri. Essa comunicava attraverso una scala, scavata nella roccia, con una torre costruita sulla vetta del monte. La grotta fu più volte sconvolta da scavi clandestini; tuttavia è stato possibile rinvenire all’altezza di un metro e mezzo dal suolo la breccia ossifera.
Più innanzi, in località Bonagia, all’altezza di circa 60 metri s.l.m., si apre una delle più ampie caverne del litorale: la Grotta Emiliana. Secondo il Carnini prese il nome da un Emilio, console romano, che soggiornava in quei dintorni. Il medesimo pretende pure che si dica Mariana perché vi aveva trovato ricovero Mario fuggendo Silla.
Dalla Rosa la esplorò nel 1869 individuando un ampio strato di materiale osseo. Essa presenta, ai due lati, nel fondo, due ampie cavità ed uno scavo a sinistra nella parete anteriore, praticato dai caprai ad uso di focolare. Fra le due cavità, all’altezza di circa un metro e mezzo, esiste una breccia ossifera formata da frantumi di zanna di elefante, tipica di questo territorio durante il paleolitico, mentre in un secondo strato ci sono molte ossa frammiste a selci, conchiglie, carboni e ceneri. Tra le conchiglie in maggiore quantità l’helix nemoralis, la monodonta fragoroides e le patelle.
Il piano della grotta è costituito da un ricco deposito di ossa di equus caballus, cervus elaphus, sus scropha di cui si potè constatare la specie o dai denti o dai frantumi delle ossa rinvenuti.
Purtroppo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento si stabilì tra la Sicilia occidentale e l’Inghilterra un vivace commercio di materiale osseo proveniente dalle grotte preistoriche che serviva per l’industria inglese della porcellana e dei bottoni. Così, molti depositi furono distrutti e con essi la possibilità di ricostruire con precisione il quadro della fauna preistorica.
Continuando l’inedito tour attraverso zone di campagna poco conosciute, in località S. Andrea bassa, nei pressi di una cava attiva, si apre, in un paesaggio degradato, la Grotta Nera: una spelonca angusta e profonda, con alcune incisioni lineari all’esterno e una croce all’interno. Qui presumibilmente si trovava un focolare di tipo gravettiano oggi asportato. Lasciata alle spalle S.Andrea e raggiungendo il pittoresco canyon Forgia, voltando a destra per il baglio Rizzo, a circa 100 metri di altezza s.l.m. si incontra la Grotta Rumena, esplorata nel 1925 dal paleontologo francese Vaufrey. I primi studi riportarono in luce il piano di calpestio lastricato e diverse incisioni lineari nelle pareti esterne della grotta, concrezioni di breccia ossifera e numerose selci di natura varia sul selciato antistante. Usata come fortificazione durante le invasioni saracene, è la grotta che ha subìto i maggiori interventi antropici, essendo stata piastrellata e dipinta: essa presenta all’interno fatiscenti costruzioni rettangolari in pietra e tufo all’esterno.
Proseguendo per paesaggi rurali che conducono al “Baglio Mogli Belle” si giunge, per mezzo di una scalinata intagliata nella roccia, alla Grotta Miceli, nascosta dalla cortina edilizia di Scurati, scoperta dallo studioso francese nel 1925.
A causa di mutamenti ambientali, lo strato archeologico della grotta è scomparso, ma restano ancora sulla parete ovest segni incisi più di 20.000 anni fa, rinvenuti dal prof. G. Mannino negli anni 60: si tratta di semplici linee orizzontali, verticali e oblique.
Già abitata durante l’ultimo conflitto mondiale, oggi notevolmente degradata, è adibita dalla gente del luogo a deposito di reti, casse e contenitori vari. Ad una manciata di chilometri dalla località indicata, alle falde del monte Cofano, in uno strato di roccia di calcarenite appartenente al paleolitico superiore (10/12 mila anni fa), si apre la meravigliosa Grotta Mangiapane, di ampiezza e elevazioni tali da consentire la costruzione, sotto la volta, di piccoli ambienti in muratura come rifugio di uomini ed animali. In fondo alla grotta due camere sono separate dal resto dell’ambiente a mezzo di un muro. Dall’inizio dell’Ottocento fino alla conclusione dell’ultimo conflitto mondiale, la grotta è stata abitata ininterrottamente dalla famiglia patriarcale Mangiapane. Valorizzata fin dall’83 dall’Associazione Culturale “Presepe Vivente” con la finalità di “riscoprire e recuperare la storia del territorio”, la suggestiva grotta rivive nella rappresentazione della natività di Gesù Cristo.
Più avanti, inerpicate sulla parete bassa del monte, si osservano due grotte spaziose: una chiusa nella sua apertura da un muro; l’altra, la fascinosa Grotta Scurati, scoperta dal Dalla Rosa nel 1870, ricca di una quantità innumerevole di manufatti litici: schegge, conchiglie, resti ossei di animali ormai estinti in Sicilia quali il cervo e il cinghiale.
Non si tratta di una vera e propria grotta ma di un antro stretto e profondo sollevato dal suolo oltre cinque metri e al quale si accede attraverso una specie di gradinata.
Conclude l’itinerario archeologico la Grotta del Crocifisso, situata sul lato nord di Monte Cofano a 55 metri s.l.m., quasi di fronte ad una piccola cappella omonima, luogo di pellegrinaggio. Questa è l’unica grotta di Custonaci dove lo strato archeologico è ancora intatto. Nelle ultime ricognizioni si è rinvenuta una testa di cervo, conservata al Museo di Preistoria di Trapani.
Purtroppo non esistono cataloghi aggiornati delle presenze preistoriche, storiche, culturali dell’itinerario in questione: sarebbe, quindi, estremamente utile effettuare una capillare opera di ricognizione e schedatura dell’esistente come evidenziato dal Centro Studi che, a tale fine, ha avviato un proficuo lavoro, con la guida dell’archeologo prof. Sebastiano Tusa, per delineare una sorta di “carta del rischio” che possa aiutare gli enti interessati nella diuturna opera di salvaguardia del patrimonio preistorico, storico e naturalistico della fascia costiera Trapani - Monte Cofano.
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