Uno degli aspetti meno conosciuti ma sicuramente interessante della vita dei Romani è l'amore per il gioco; di questa grande passione restano a testimonianza le cosidette tabulae lusoriae, molte delle quali furono reimpiegate in età tardo-antica dentro le catacombe come lastre di chiusura dei loculi. La presenza di questi tavolieri in cimiteri cristiani non ebbe solo valenza puramente funzionale (il riutilizzo delle stesse) ma anche allusivo. Molti Cristiani del resto erano legati al gioco; non a caso nel III sec. d.C. un cristiano (in passato identificato erroneamente come San Cipriano) scrisse un trattato sui giocatori di dadi De aleatoribus.
Oltre alle tavole lusorie, talora incise o dipinte su luoghi pubblici come i fori, i giochi presso i Romani non erano molto numerosi: fra questi se ne ipotizzano alcuni legati alla morra ed altri basati sull'impiego di dadi ed astragali. Dalle fonti letterarie e dai ritrovamenti archeologici si ricostruiscono varie tipologie di giochi da tavolo: "il gioco delle 12 linee", il filetto, "il gioco dei soldati" e l'Alea o tabula (il cosidetto tavoliere romano a spicchi).
Al gioco delle 12 linee, citato sia da Cicerone che da Quintiliano, si partecipava con due file di 15 pedine per ciascun giocatore bianche e nere incise con numeri alla latina e alla greca su ciascuna faccia. Queste potevano essere fatte con materiale diverso: avorio, osso, legno, vetro o marmo, e sono state rinvenute in diverse parti dell'impero ma soprattutto ad Aquileia.
Al filetto, simile a quello rimasto in voga fino ai nostri giorni, si giocava tramite l'impiego di tavole "a mulino", costituite da quadrati concentrici intersecati da due linee perpendicolari, mentre agli angoli e agli incroci erano i punti di sosta delle pedine.
Tabulae a 64 caselle erano richieste per il "gioco dei soldati" antesignano della dama moderna o comunque degli scacchi. Ciascun giocatore aveva 30 pedine bianche o nere, denominate "soldati" o "combattenti". La finalità del gioco stava nel bloccare l'avversario in modo che non avesse più caselle per muoversi. Il punteggio era di volta in volta determinato dal lancio di tre dadi posti dentro un bussolotto detto Fritilla. Stesso procedimento veniva adoperato per un gioco simile a quello appena descritto che prevedeva l'impiego di 36 caselle divise in 3 file parallele e suddivise da elementi ornamentali.
Spesso su queste tabulae agli elementi decorativi si sono sostituite delle iscrizioni che riguardano la mutevole sorte del gioco, o la bravura o poca abilità dei giocatori. Le frasi venivano disposte su tre file parallele, una lettera per ogni casella.
Insigne studioso di tali reperti è stato don Antonio Ferrua che ha raccolto questi tavolieri tipologicamente in relazione ai contenuti dei testi scritti su di essi. Un primo gruppo concerne i vari aspetti del gioco: "VI (...) TOR PALMA | VICTUS SURGAT | [L]UDERE NESCIT" oppure " Se vinci sei contento , se perdi piangi, non sai giocare" , o ancora " Tu che sei stato sconfitto vattene, non sai giocare, fai spazio ad un altro concorrente".
Un altro gruppo fa riferimento agli spettacoli circensi; in un esempio si legge : "TABULA CIRCUS | BICTUS RECEDE| LUDERE NESCIS".
In qualche caso la prima fase è meno gentile ; " Vattene idiota"; in altre iscrizioni invece si cerca di non fomentare diverbi: " Sconfitto mi ritiro, non so litigare, è meglio che mi alzi".
Alcune di queste tabulae poi fanno allusioni ad eventi storici o politici con riferimenti soprattutto alla seconda metà del III sec. d.C. Un esempio eloquente in tal senso è costituito da un'epigrafe ritrovata nella catacomba di Priscilla, che recita "Sconfitti i nemici, l’Italia è felice, divertitevi Romani". Si pensa che questo testo si riferisca alla vittoria riportata sugli Alemanni a Fano nel 271 d.C. ad opera dell'imperatore Aureliano, oppure alla vittoria conseguita da Claudio II il Gotico nel 268 d.C. sulla stessa popolazione. Di carattere politico è l'iscrizione ritrovata su una lastra pavimentale scoperta a Thuburbo Maius, in Tunisia, dove si legge : "Patria santa| fa che riveda| sani e salvi i miei".
Altre volte il linguaggio usato diventa allegorico, paragonando i giocatori più abili ai cacciatori e i più sprovveduti alle prede; non mancano inoltre le invocazioni alla fortuna e alle divinità affinché venissero in soccorso ai giocatori.
La maggior parte di questi tavolieri è di matrice pagana anche se non mancano taluni esempi di tipo cristiano. Il più celebre proviene dalla catacomba dei santi Pietro e Marcellino che presenta all'interno delle caselle le raffigurazioni del buon pastore e di Noè nell'atto di accogliere la colomba col ramoscello di olivo. Un' altra lapide è stata scoperta all'interno della basilica di Damus el-Karita a Cartagine, dove è iscritta una croce monogrammatica; infine dal complesso cultuale di san Lorenzo fuori le mura romane ne proviene un'altra, che contiene all'interno dei cerchietti mediani i nomi dei quattro fiumi paradisiaci (Geon, Fison, Tigri ed Eufrate). Molti dei tavolieri scoperti provengono, come abbiamo detto in questo articolo, da catacombe tant'è che alcuni studiosi avevano sostenuto che questi potessero essere dei simboli distintivi. Tuttavia quest'ipotesi è stata confutata: infatti le tabulae presentano talora le facce incise verso l'interno del loculo e quindi possiamo affermare con certezza che si tratta di un'operazione di reimpiego.
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