I Greci si preoccuparono di mettere in rapporto la Sicilia anche con il loro eroe più importante, il grande Ercole (l'Eracle dei Greci), il quale, di ritorno dalla sua decima fatica, il rapimento della mandria di Gerione, passò per la Sicilia, o per recuperare un vitello che era fuggito (Dionisio d'Alicarnasso I, 35, 2), o per sua libera scelta, come scrive Diodoro (Biblioteca Storica, IV, 22):
«Ercole giunse allo stretto e nel punto più angusto del mare trasferì in Sicilia i buoi, ed egli stesso attraversò il passaggio afferrandosi alle corna di un toro; e la distanza, come dice Timeo, era di tredici stadi (circa 2340 metri)». Mentre percorreva la costa settentrionale dell'isola, le ninfe, per ristorarlo dalle fatiche del viaggio, fecero scaturire per lui le acque termali di Imera, e quelle di Segesta presso il fiume Crimiso (Diodoro, IV, 23): «In seguito, volendo fare il periplo della costa di tutta la Sicilia, compì il viaggio dal capo Peloro ad Erice. Mentre percorreva la costa dell'isola, come narrano i miti, le Ninfe fecero scaturire bagni termali per ristorarlo dalle fatiche del viaggio. C'era una doppia serie di ninfe, le Imeree e le Egestee, che ricevono il nome dai luoghi».
L'eroe greco viene spesso associato con sorgenti di acqua calda che, nella simbologia mitica, rappresentano degli ingressi nel regno dei morti; infatti, una delle funzioni principali di Ercole, nel mito, era quella di entrare in conflitto con la morte, come vogliono dire alcune delle sue imprese più importanti (la discesa nell'Ade, per condurre sulla terra il cane Cerbero custode degli Inferi, il furto dei buoi e l'uccisione di Gerione, che forse è in relazione con lo stesso Ade, la cui mandria pascola vicino alla sua, ed infine, più significativa di tutte, la lotta con Thànatos, il dio che personifica la stessa morte, per sottrargli la sposa di Admeto, Alcesti, offertasi quale vittima al posto del marito).
Essendo Ercole giunto dunque nel territorio di Segesta, Erice , che era un gran lottatore (come sappiamo anche dall'episodio di Entello che sfida il campione troiano, nel V libro dell'Eneide) lo invitò ad un duello: se avesse perduto, gli avrebbe ceduto il suo territorio, se invece avesse vinto, Ercole gli avrebbe dovuto cedere i buoi: « Quando Ercole si avvicinò alle località della zona di Erice, lo invitò alla lotta Erice, il figlio di Afrodite e di Bute, che allora era re di quei luoghi. Alla contesa era aggiunta un'ammenda: Erice avrebbe consegnato la regione, Ercole i buoi. Ma la prima condizione irritò Erice perché, messa la regione a confronto con essi, i buoi erano di valore di gran lunga inferiore. Quando però, replicandogli, Ercole dichiarò che se li avesse persi sarebbe stato privato dell'immortalità, Erice approvò il patto e combattè».
La lotta si concluse con l'uccisione di Erice: Ercole vincitore continuò il suo viaggio, ma lasciò il regno del suo avversario agli abitanti della regione, concedendo loro di goderne i frutti finché « non fosse comparso e non li avesse chiesti uno dei suoi discendenti » (Diodoro, ivi). Così con questo mito veniva a costituirsi come un'ipoteca politico-culturale su Erice e sul suo territorio" (V. Adragna, Erice, Trapani, 1986).
Più tardi due Eraclidi, Dorieo e Pirro, facendosi forti di questo mito (la cui elaborazione letteraria risale, con ogni probabilità, alla perduta Gerioneide del poeta Stesicoro), rivendicarono per sé il territorio lasciato loro, per così dire, in eredità dal mitico antenato. Prima di Dorieo e di Pirro un altro discendente di Ercole, Pentatlo di Cnido, venne nella Sicilia occidentale, ma Diodoro (V, 9) non specifica se questi fosse giunto nell'isola a rivendicare i possedimenti lasciati da Ercole.
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