Le gare sportive nel quinto libro dell’Eneide

di Antonino Tobia
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Il libro sul Parco Virgiliano e le gare sportive indette da Enea in onore di AnchiseIl libro V dell'Eneide, che pare sia stato uno dei primi ad essere divulgato dopo l'VIII, presenta un insieme di indicazioni spaziali e di riferimenti topografici che rivelano la precisa intenzione del poeta di sottrarre alla sfera del fantastico ogni vicenda narrata e di fissare proprio nel territorio trapanese una importante pietra miliare del provvidenziale viaggio del figlio di Anchise.
Drepanum, fra tutti i luoghi visitati da Enea durante il suo peregrinare, è l'unico nome che ritorna due volte a scandire due momenti altamente significativi per la missione dell'eroe troiano; il primo registra la perdita del padre, il secondo è marcato dai solenni riti funebri e dai ludi in onore di Anchise: una pausa elegiaca di commemorazione e di riflessione che serve a riaccendere negli animi provati dei Troiani la fiaccola della speranza nel loro fatale destino.
Drepanum, grazie alla poesia virgiliana, ha, quindi, il suo appuntamento col mito, un mito cui il poeta mantovano vuol conferire la dignità della storia sottraendolo ad ogni forma di ambiguità, come pure alla polisemia del linguaggio mitico, e per di più tanta solennità quanta ne merita un popolo eletto dal Fato ad essere testimone del lungo travaglio che precedette la nascita della potenza romana e della civiltà occidentale.
Il libro V si apre con l'accoglienza festosa che il re Aceste rivolge ai Troiani, «veterum non immemor ille parentum / gratatur reducis et gaza laetus agresti / excipit ac fessos opibus solatur amicis" (vv. 39-41).
È il più caro e nobile attestato della cultura, nel suo significato antropologico, di questo gruppo sociale che vive tra Erice e la costa trapanese, il quale, attraverso l'ospitalità e l'amicizia offerta da Aceste, dà subito prova della sua affabile cordialità, della sua generosità, dell'alto grado della sua evoluzione umana e sociale. C'è da credere che, se gli abitanti di questo estremo lembo della Sicilia occidentale non fossero stati rinomati per questa loro indole naturale, nel tempo in cui Virgilio scriveva, di sicuro il poeta non avrebbe osato scrivere belle fole né la sua fantasia avrebbe potuto trarre alimento da qualità che non fossero state sostenute dalla tradizione. La verità è che duemila anni fa, come ancora oggi, l'ospitalità e il valore dell'amicizia erano attributi di pregio della nostra gente e non è difficile ritenere che Virgilio ne abbia fatto esperienza personale.
Presso gli antichi popoli del Mediterraneo, è risaputo, il culto dell'ospitalità, cui presiedeva lo stesso Zeus Xenios, era profondamente radicato, costituiva il fondamento stesso degli scambi e delle relazioni fra i popoli, era il lievito stesso della civiltà.
Aceste accoglie con tanta liberalità gli amici troiani reduci che lo stesso padre Enea, convinto d'interpretare il disegno divino, decide di sostare qualche tempo a Drepanum, allo scopo di celebrare sui solenni altari il rito funebre in ricordo del genitore, che proprio l'anno precedente era morto sul litorale trapanese e qui era stato sepolto. La partecipazione della gente sicula ai funerali e ai Ludi novendiales sono ulteriori testimonianze della condizione di alta civiltà che Virgilio ha voluto riconoscere al popolo di Aceste, personaggio caro al poeta, che lo fa campeggiare sulla scena, fin dai primi versi del libro, forte, austero e regale nel suo rozzo abbigliamento: «horridus in iaculis et pelle Libystidis ursae».
Circa cinquecento versi occupa la rappresentazione dei giochi funebri. Reminiscenze omeriche compaiono qua e là nella descrizione, ma l'atmosfera generale che avvolge le singole gare è del tutto diversa da quella che domina il libro XXIII dell'Iliade. Il tono tragico e solenne, che percorre l'intera opera virgiliana, in questo episodio muta ex abrupto e la poesia acquista la festosità, il colore, la voce, la spensieratezza della rappresentazione comica.
Funerale di Anchise a Trapani - i ludi novendialiÈ come se l'eroe troiano, attraverso i nove giorni dedicati ai riti funebri, e nove continuano ad essere nella tradizione popolare del trapanese i giorni di lutto stretto da osservare per la perdita di un congiunto, fosse riuscito definitivamente ad emancipare e a redimere il suo animo da ogni dubbiosa incertezza, come pure dalla servitù delle passioni, che aveva fatto sentire tutto il peso delle sue catene durante il piacevole soggiorno sulla terra di Didone. Il ritorno a Trapani rappresenta, quindi, un momento di grande gioia perché segna il ritorno alla missione affidatagli dal Fato, dopo lo smarrimento eticopsicologico seguito alla morte del padre.
L'ampia arcata verde, che si apre alle falde di Erice di fronte al mar Tirreno, si presenta come una magnifica e variopinta tribuna rigurgitante di Troiani e di Siculi accorsi dai borghi vicini; «Iaeto complebant litora coetu / visuri Aeneadas, pars et certare parati» (vv. 106-107).
In mezzo alla spiaggia sono disposti splendidi doni, premi per i vincitori: «sacri tripodes viridesque coronae / et palmae, pretium victoribus, armaque et ostro / perfusae vestes, argenti aurique talentum...» (vv. 110-112); una cornice scintillante, piena di luce e di vita, che fa sembrare un ricordo ormai lontano l'inlaetabilis ora del primo approdo di Enea sulla costa trapanese.
Tanto è lo sfolgorio di ori e di argenti, «quando la tromba da un poggiuol, che in mezzo / sorgeva, annunzia il cominciar dei giochi» Così Francesco Vivona.
La parte centrale del libro V è tutta occupata dalla cronaca delle cinque gare sportive indette da Enea: la regata, la corsa, il pugilato, la gara dell'arco, il carosello equestre. Su due di esse, però, Virgilio ama soffermarsi più a lungo: sulla regata, che occupa circa 170 versi, e sulla gara del pugilato, che si estende per oltre 120 versi.
La gara nautica, che manca nel modello omerico, è quella più ricca di particolari descrittivi ed è quella che suscita più accesi entusiasmi sportivi tra la folla. Di fronte alla costa, semisommerso dalle onde, affiora un isolotto, quello che la descrizione virgiliana ci autorizza a supporre essere stata la meta della competizione: «Est procul in pelago saxum spumantia contra / litora, quod tumidis submersum tunditur olim / fluctibus, hiberni condunt ubi sidera cori; / tranquillo silet immotaque attollitur unda / campus et apricis statio gratissima mergis» (vv. 124-128). Oggi lo chiamiamo Scoglio degli Asinelli, ma sarebbe più conveniente soprannominarlo lo scoglio di Menete, il vecchio e prudente pilota della nave Chimera, scagliato giù dalla poppa in mare dal focoso Gìa, tra l'ilarità generale degli spettatori, divertiti da questo intermezzo comico inatteso che vede il povero timoniere, «iam senior madidaque fluens in veste», riemergere dal fondo e a fatica guadagnare a nuoto lo scoglio. La gara è seguita da Virgilio col tono appassionato e divertito del cronista, mentre, osserva il Turolla, «il riso domina franco e, anche dove non si ride, le immagini lustrano intense» in ogni momento di questo racconto, reso poetico dall'accento schietto e spontaneo che accompagna il resoconto delle singole imprese e soprattutto dal «tono unico che raccoglie e domina quello che sarebbe altrimenti disperso».
Al tempo di Virgilio, non sembra che le gare atletiche e, in particolar modo, i giochi ellenici riscuotessero grande successo di pubblico, anzi non era affatto raro che i Romani si mostrassero indifferenti, quando non ostili, anche verso atleti noti ed affermati.
La stele di Anchise a Pizzolungo - TrapaniEra stato Giulio Cesare, appassionato di gare sportive di ogni genere, a promuovere, oltre ai soliti combattimenti gladiatorii, molti giochi circensi ed atletici, riuscendo persino ad organizzare una naumachia con biremi e triremi e quadriremi della flotta tiria ed egizia. Un avvenimento senz'altro straordinario, che comportò lo scavo di un vero lago presso il Campo di Marte. Ricorda, pure, il suo biografo Svetonio che il generale romano fece eseguire anche il Ludo troiano, uno spettacolo eccezionale per la bellezza e l'eleganza della parata: «Troiam lusit turma duplex - si legge - maiorum minorumque puerorum».
È chiaro che si tratta di una riedizione della giostra equestre descritta da Virgilio come ultima gara dei ludi funebri, una competizione che aveva rinsaldato le speranze per il futuro nei petti dei Troiani, commossi dallo spettacolo offerto da quei giovinetti sui cui volti erano impressi i tratti dell'antica progenie.
Se l'azione promotrice di Cesare sortì risultati molto incoraggianti (annota Svetonio che durante i ludi affluiva a Roma gente da ogni parte e i forestieri erano costretti ad accamparsi come potevano nei vicoli e per le strade e che la calca era tale che si registravano morti e feriti), ancora più tenace fu l'impegno di Augusto che, c'informa Svetonio, non dissimulò mai il diletto che provava per gli spettacoli ludici, ai quali assisteva con vero studio spectandi ac voluptate, estraniandosi in quelle occasioni totalmente dagli affari pubblici, a differenza di Cesare, che era stato spesso oggetto di critica ostile quod inter spectandum epistolis libellisque legendis aut rescribendis vacaret. La passione di Augusto per i pubblici spettacoli contribuì ad ampliare la sfera dei privilegi agli atleti e a far crescere di numero le associazioni sportive, tanto che giochi venivano organizzati nel foro, nell’anfiteatro, nel circo, nel recinto del Campo Marzio e nonnumquam vicatim, cioè quartiere per quartiere, innestando una tradizione che dopo duemila anni permane nel costume folkloristico di tante città e piccoli centri dell'Italia meridionale.
Anche Augusto, come Cesare, amò organizzare il Ludo troiano, «Troiae lusum edidit frequentissime maiorum minorumque puerorum», e ciò al fine di richiamare il popolo romano alle nobili tradizioni della gens Julia ed in sintonia col suo programma di rinnovamento nella restaurazione.
Ma la competizione sportiva che più entusiasmava Augusto era senz'altro il pugilato. Leggiamo quanto ci tramanda Svetonio: «Spectavit autem studiosissime pugiles et maxime Latinos, non legitimos atque ordinarios modo, quos etiam committere cum Graecis solebat, sed et catervarios oppidanos, inter angustias vicorum pugnantis temere ac sine arte». È eccitante seguire il principe Augusto durante queste sue improvvise sortite nei sobborghi della capitale, che gli offrivano estemporanei e genuini incontri di pugilato con un numero imprecisato di contendenti, senza regole né arbitri né trofei. Il pugilato era, quindi, uno sport molto caro all'imperatore più famoso della storia romana, e Virgilio ha voluto rendere omaggio al gusto del suo signore, dedicando oltre centoventi versi alla rappresentazione della gara pugilistica, inferiore per lunghezza solo alla regata.
Darete ed Entello, due possenti campioni, due anime diverse si fronteggiano, la boria del giovane contro la riservatezza dell'uomo avanti negli anni.
Ma l'arroganza e la presunzione cedono, e Virgilio consegna la palma della vittoria al vecchio e leale eroe siculo Entello, tributando un ulteriore omaggio a questa nostra terra di Sicilia, tante volte presente nell'ispirazione poetica dell'antico vate.
Il gioco, in ogni sua manifestazione, come ha notato Huizinga, è collegato al bisogno di sfuggire ai dolori della vita, svolgendo una importante funzione psicologica, stimolatrice dell'attività fisica, dell'immaginazione, della sfera volitiva e della sociabilità.
Enea e i profughi troiani, attraverso i ludi funebri, si liberano della tensione accumulata per tanto tempo, depongono il fardello delle loro sofferenze e sulle coste del trapanese fanno le prove generali per il lungo viaggio che li condurrà nel Lazio.
Questo mio excursus, limitato per ragioni di tempo e scevro certamente di ogni intento filologico, ha voluto essere un contributo alla salvaguardia territoriale di una zona, quella del costituendo Parco Virgiliano, resa immortale dalla poesia del vate mantovano, ma, ahimè, troppo dimenticata dagli uomini, almeno fino ad oggi.
Il rischio che abbiamo corso è stato finora quello derivante dalla insensibilità culturale che grava sulla nostra provincia, cui si è associata, mi duole ammetterlo, una imperdonabile inerzia dei responsabili delle scelte politiche.
La realtà che ci sta dinanzi è quella di un luogo che da alcuni anni gli amici dell’Associazione Nazionale “Ludi di Enea” tentano disperatamente di sottrarre alla piovra dell'abusivismo e del degrado ecologico, con risultati non certo esaltanti se è vero che a tutt'oggi la stele di Anchise si erge di fronte al mar Tirreno come punto di riferimento di una discarica pubblica, solo da poco tempo recintata per evitare danni ancora più gravi, come la demolizione stessa del pietoso simbolo.
Ma lo spettacolo che si presenta agli occhi del visitatore è quello, ancora una volta, di una "inlaetabilis ora", sicuramente più triste e patetica di come apparve all'eroe troiano che, approdandovi, non ebbe a provare il disgusto e lo sdegno che sorgono spontanei in chi considera espressione di civiltà la cura del territorio e la salvaguardia dei valori che costituiscono la storia di ogni gruppo sociale.
E per salvaguardia non intendo la protezione sic et simpliciter di quanto si considera naturale tout court, dacché è mia convinzione che la natura non sia un bene da conservare ma da adattare razionalmente alle esigenze dell'uomo che sono, nel nostro caso, esigenze culturali.
Il protezionismo che diventa pregiudizio, i vincoli paesaggistici imposti in maniera poco oculata, le forme di tutela preconcette hanno prodotto tanti danni, in quanto hanno spalancato le porte all'abusivismo più volgare ed indiscriminato in questo nostro bel paese, che fa "tanto sottili provvedimenti" da costituire motivo di privilegio essere nati in un anno piuttosto che in un altro, avere eretto mostruose costruzioni un giorno prima anziché un giorno dopo.



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