In epoca romana la tecnica pittorica parietale più diffusa (ancor più dell'affresco) fu l'encausto, come possiamo ammirare all'interno delle case di Pompei, i cui dipinti murali sono realizzati per lo più con questa tecnica. L'encausto viene realizzato mescolando i colori con la cera naturale, in particolare la c.d. cera punica. La cera presenta varie caratteristiche che ne hanno favorito l'uso in pittura: a differenza di altri materiali impiegati in pittura, come gli olii - caratterizzati dalla composizione di sostanze insature - le cere non sono soggette a fenomeni di ossidazione e polimerizzazione; per questa ragione rimangono inalterate nel tempo, essendo sostanze stabili dal punto di vista chimico. Allo stato naturale la cera, incapace di ossidare e polimerizzare, ha una consistenza appiccicosa che perdura col tempo: questo difetto può essere superato miscelandola con un solvente o con una resina. Com'è noto, se sottoposta a riscaldamento forte, la cera diventa fluida, e può mantenersi così in soluzione. La cera è inoltre idrorepellente e solubile solo in alcuni solventi come la trielina e idrocarburi come la benzina. Grazie alle sue proprietà di idrorepellenza la cera è stata utilizzata per formare vernici protettive di manufatti pittorici particolarmente esposti all'umidità. In pittura ha trovato limitata applicazione come legante poiché, non avendo capacità filmogene, non assolve bene a tale funzione. Tuttavia come detto sopra nella pittura pompeiana , che si è conservata brillante e perfettamente integra fino ai nostri giorni, si è fatto largo uso di cera come legante attraverso la tecnica pittorica dell'encausto. Anche gli antichi egizi usavano la cera come legante pittorico, ed esami condotti in laboratorio su frammenti pittorici contenenti cera risalenti al periodo egizio hanno dimostrato che la composizione di quella cera è simile alla cera non invecchiata, il che avvalora la tesi dell'inalterabilità della cera nel tempo. È come se in qualche modo gli antichi pittori avessero intuito questa caratteristica della cera di resistere nel tempo e l'avessero volutamente impiegata nelle loro opere, al fine di renderle fruibili ai posteri attraverso la tecnica dell'encausto.
Per rendere la cera solubile in emulsioni acquose, gli antichi trattavano la cera d'api con la calce: quest'ultima, essendo alcalina, determina la saponificazione degli esteri della cera stessa. In questo modo si ottiene la cera punica che è alla base della tecnica dell'encausto e che veniva utilizzata per stemperare i colori e stenderli sulla parete. A questo punto ci si potrebbe chiedere perché gli antichi sentissero l'esigenza di un'altra tecnica pittorica parietale, visto che l'uso dell'affresco era già diffuso in epoche remote. La risposta è semplice: nell'affresco a causa della carbonatazione della calce, procedimento chimico dovuto a una reazione della calce con l'aria, alcuni colori si alterano a tal punto da renderli inutilizzabili: è questo il caso degli smalti, dell'indaco, della porpora, del cinabro, della cerussa e dell'orpimento. Grazie all'encausto questa difficoltà viene agevolmente superata, in quanto si possono utilizzare praticamente tutti i pigmenti presenti in natura. C'è un altro motivo non meno importante che ha contribuito alla diffusione dell'encausto già in epoca egizia: grazie all'uso della cera i colori si conservano brillanti e inalterati nel tempo. Oltre all'encausto vero e proprio è da ricordare la c.d. encausticazione in cui la cera non viene usata come legante mescolata ai pigmenti, ma viene applicata mescolata a olio sulla pittura già realizzata, al fine di rendere la superficie pittorica brillante e soprattutto inalterabile nel tempo.