L'utilizzo dell’elefante in battaglia nell’antichità è largamente menzionato dalle fonti: le prime testimonianze, documentate da numerosi testi in sanscrito, si datano intorno al 1100 a.C. Dall’Estremo Oriente tale impiego raggiunse l’Impero persiano achemenide, forse a partire dal regno di Ciro il Grande, ma fu probabilmente sul finire del VI secolo, quando Dario I intraprese una spedizione nella Valle dell’Indo, che i Persiani ebbero modo di acquistare elefanti da guerra.La battaglia di Gaugamela (331 a.C.), combattuta da Dario III contro i Macedoni di Alessandro Magno, rappresenta il primo confronto di europei con gli elefanti indiani da guerra. I quindici animali posti al centro delle linee persiane crearono un tale sgomento sulle truppe macedoni che Alessandro sentì la necessità di compiere un sacrificio alla divinità della Paura la notte precedente la battaglia. Il Macedone fu così impressionato da quest’arma che nella successiva opera di conquista dell’India perfezionò la conoscenza dell’uso di questi animali, al fine di incorporarli nel proprio esercito. Nella battaglia dell’Idaspe (326 a.C.), combattuta contro il re indiano Poro, i Macedoni videro opporsi nuovamente un ingente numero di elefanti, secondo le fonti duecento. A seguito della vittoria su Poro, Pausania (Guida della Grecia, L’Attica, I, 12, 27-45) ci riferisce che Alessandro fu il primo fra gli occidentali a disporre di queste macchine da guerra.
Dopo la morte di Alessandro, gli elefanti rimasero parte integrante degli eserciti dei Diadochi, già a partire dai conflitti che opposero Antigono Monoftalmo ed Eumene di Cardia: nella battaglia della Paretacene (317 a.C.) ne furono schierati rispettivamente sessantacinque e quarantatré, mentre nella battaglia della Gabiene (316 a.C.) rispettivamente sessantacinque e centoquattordici (Pausania, L’Attica, I, 12, 27-45). I pachidermi vedono il massimo impiego tattico anche nella battaglia di Gaza (312 a.C.), in cui Demetrio I Poliorcete schierò quarantatré elefanti contro l’esercito di Tolomeo I, e nella battaglia di Ipso (301 a.C.), ricordata come la più grande battaglia di elefanti dell’antichità. In quest’occasione Seleuco I dispose quattrocento elefanti - che aveva ottenuto qualche anno prima (nel 305 a.C.) in seguito al trattato di pace stipulato con il principe indiano Chandragupta Maurya, il quale in cambio otteneva le province indiane dell’Impero macedone ad ovest dell’Indo (Plutarco, Vite parallele, Alessandro, 62, 3-4) - contro i settantacinque di Antigono Monoftalmo e di Demetrio Poliorcete. Nell’ambito delle guerre fra i successori di Alessandro, le maggiori unità di elefanti da guerra della storia furono coinvolte, secondo molti storici, tra i quali Appiano (Storia romana, XI), durante la battaglia di Rafah o Raphia (217 a.C.), che contrappose Tolomeo IV e Antioco III. Livio (Storia romana, XXXV, 32) e Floro (Breviario di storia romana II, VIII) riferiscono, inoltre, che i Seleucidi utilizzarono cento elefanti di tipo indiano, mentre i Tolomei duecentocinquanta pachidermi di dimensioni minori.
Nel corso del III secolo a.C. l’impiego di elefanti da guerra coinvolse anche altri schieramenti: Vegezio (L’arte della guerra romana, III, 24, 6) a riguardo scrive:“Fu il re Pirro il primo ad utilizzarli contro le truppe romane in Lucania, dopo se ne servirono in modo massiccio Annibale in Africa, il re Antioco in Oriente e Giugurta in Numidia...”. Pausania (Op. cit., L’Attica, I, 12, 27-45) ci riferisce che Pirro ne aveva catturati un gran numero a seguito della battaglia combattuta contro Demetrio I Poliorcete. Inoltre, prima dell’arrivo in Italia, l’epirota aveva avanzato richieste di aiuti militari a Tolomeo II, il quale gli aveva promesso cinquanta elefanti da guerra (Giustino, Storia universale, Epitome da Pompeo Trogo, XVII, 2). I Romani, stando alla testimonianza delle fonti (Eutropio, Breviario di storia romana, II, 6; Floro, Op. cit., I, XVIII, 43-44; Giustino, Op. cit., XVIII, 1; Giovenale, Satire, IV, XII, 10), vennero a contatto per la prima volta con gli elefanti durante gli scontri con Pirro, in occasione delle guerre tarantine. In particolare, tale incontro avvenne in occasione della battaglia di Eraclea (280 a.C.), quando li appellarono “buoi lucani”, confondendoli per i buoi tipici del luogo (Nevio, La guerra punica, I, frg. 55; Varrone, La lingua latina, 7, 39; Isidoro, Etimologie, 12,2,14; Lucrezio, La natura delle cose, II, 1302). In quell’occasione la vittoria di Pirro sui Romani fu determinante grazie all’utilizzo di venti elefanti indiani (Plutarco, Op. cit., Vita di Pirro, 15).
L’utilizzo di elefanti da guerra è attestato anche nella battaglia di Ascoli Satriano (279 a.C.), nella quale, ci riferisce Dionigi di Alicarnasso (Antichità romane, XX, 12, 3 e 1, 6-8), i diciannove elefanti indiani di Pirro erano guidati da Indiani. In quest’occasione lo spavento che gli animali avevano suscitato in precedenza si era dissipato, come dimostra l’aneddoto riportato da Floro (Op. cit., I, XVIII, 46) su C. Minucidus, astato della IV Legione: avendo questi reciso la proboscide di un elefante ne aveva causato la morte, dimostrando come tali animali non fossero invincibili. Dopo questi avvenimenti i Romani avevano ormai imparato a conoscere gli elefanti: infatti, nella battaglia di Benevento (275 a.C.) riuscirono ad avere la meglio sulle truppe epirote e tarantine (Floro, Op. cit, I, XVIII, 52-53), facendo scagliare dai propri arcieri frecce infuocate e torce contro le torri montate dagli elefanti, in modo da far imbizzarrire i pachidermi e creare così scompiglio tra le stesse truppe amiche (Floro, I, XVIII, 46 ). In questa circostanza furono abbattuti anche due pachidermi, mentre otto furono catturati e quattro di essi portati vivi a Roma, dove suscitarono grande curiosità tra il popolo.
I Cartaginesi iniziarono a domare gli elefanti per gli stessi scopi bellici, inserendoli nei propri eserciti. Tale arma divenne così usuale tra i Punici che nella stessa Metropoli, a detta di Strabone (Geografia,XVII, 832), vi erano alloggi per trecento pachidermi da guerra. La prima attestazione di un loro utilizzo si ha nella battaglia di Agrigento (262 a.C.) - nell’ambito della Prima guerra punica - quando i Cartaginesi, assediati dal nemico, ricevettero tra i rinforzi sessanta elefanti comandati da Annone (Diodoro, Op. cit., XXIII, 8). In quest’occasione i Romani catturarono sessanta elefanti, che poi inviarono a Roma per incrementare il numero delle bestie da sacrificare nei viviparia (Diodoro, Op. cit., XXIII, 21). I Cartaginesi, guidati dallo stratega spartano Santippo, ottennero una grande vittoria grazie all’utilizzo di cento elefanti nella battaglia di Tunisi (255 a.C.), combattuta contro Marco Atilio Regolo (Frontino, Stratagemmi, II, II). Nella prima battaglia di Palermo (254 a.C.), in cui si verificò la conquista della città da parte dei Romani, Polibio ci riferisce che Cartagine mandò in Sicilia centoquaranta elefanti comandati dal generale Asdrubale (Op. cit., I, 38). Plinio il Vecchio (Storia naturale, VIII, 16) e Floro (Op. cit., II, II) narrano che dopo il secondo assedio della città (nel 251 a.C.) i Romani di Lucio Cecilio Metello, dopo la vittoria ottenuta sui Cartaginesi, catturarono centoquarantadue o centoventi elefanti. Frontino nei suoi Stratagemmi (I, VII, 1)ci riferisce che dieci di questi elefanti furono catturati con gli stessi conducenti indiani e trasportati a Roma utilizzando delle file di botti unite fra loro. Tra le fonti c’è disaccordo sul numero effettivo di elefanti portati in trionfo a Roma: Livio (Op. cit., XXVI, 21) sostiene che furono otto, Diodoro sessanta (Op. cit., XXIII, 21 [exc. de Sent., p. 350]), Dionigi di Alicarnasso centotrentotto (Op. cit., II, LXVI, 4), Eutropio centotrenta (Op. cit., II, 13), mentre Seneca centoventi (Sulla brevità della vita, XIV). Plinio il Vecchio ci riferisce che Metello fu il primo a portare a Roma degli elefanti (Op. cit.,VII, 139), ma sappiamo da Seneca (Op. cit., XIII) e da Eutropio (Op. cit., II, 8) che già Manio Curio Dentato, in occasione delle guerre sannitiche, aveva portato per primo a Roma quattro elefanti.
Tra le due guerre puniche, nel quadro della guerra libica seguita alla rivolta dei mercenari di Cartagine, l’utilizzo degli elefanti fu centrale per l’esito delle battaglie di Bagrada (240 a.C.) e di Utica (239-238 a.C.): Annone il Grande cerco di portare soccorso agli Uticesi con cento elefanti, poi Amilcare Barca con settanta elefanti ricevuti da Cartagine riuscì a liberare Utica dall’assedio (Polibio, Op. cit. I, 75, 1-2).
L’utilizzo di elefanti è anche attestato in Iberia in occasione dell’assedio di Elche (229 a.C.) da parte dei Cartaginesi di Amilcare Barca (Diodoro, Op. cit., XXV, 10 [exc. Hoesch., pp. 510-511]) e quando Asdrubale Barca procedette alla conquista delle città della Spagna sud-orientale (Diodoro, Op. cit., XXV, 12 [exc. Hoesch., pp. 511-512]). Gli elefanti giocarono un ruolo non indifferente anche in occasione della Seconda guerra punica. Dopo aver riportato la vittoria a Sagunto (219-218 a.C.), Annibale Barca lasciò la Penisola Iberica con trentasette elefanti da guerra (Appiano, Op. cit., I, 4), riuscì a valicare i Pirenei e, dopo aver attraversato il fiume Rodano (Polibio, Op. cit., III, 45, 5-6; 46, 1-6; III, 46, 7-12;Eutropio, Op. cit., III, 4), valicò le Alpi, giungendo in Italia solamente con ventuno elefanti superstiti (Polibio, Op. cit., III, 47, 1;Cornelio Nepote, Op. cit., Annibale, 3, 4). Durante la battaglia della Trebbia (218 a.C.) l’impiego dei pachidermi fu decisivo per l’esito del conflitto. Secondo Polibio (Op. cit., III, 74, 10-11)alla fine dell’inverno dello stesso anno un solo elefante sopravvisse alla traversata, a causa delle condizioni climatiche non favorevoli della Pianura Padana. La tradizione riporta che il superstite fu Surus, il leggendario elefante di Annibale, in onore del quale, dopo la sua morte, il condottiero fondò una città. Dopo gli avvenimenti di Canne (216 a.C.), in cui i pachidermi non erano presenti, Cartagine fece sbarcare a Locri circa quaranta elefanti in aiuto ad Annone il Vecchio, che si unì poi all’esercito di Annibale. La sconfitta di Asdrubale, bloccato dagli Scipioni, fece sì che gli altri venti elefanti che dovevano essere inviati ad Annibale fossero dirottati in Spagna (Eutropio, Op. cit., III, 11). Asdrubale, in seguito riuscì a portare attraverso le Alpi dieci elefanti addestrati in Spagna, che utilizzò poi nella battaglia del Metauro (207 a.C.). Sette pachidermi furono mandati da Cartagine a Magone Barca in Liguria nel 204 a.C., affinché tali forze si congiungessero con Annibale, asserragliato in Calabria. Infine, ottanta elefanti furono utilizzati da Annibale nella battaglia di Zama (202 a.C.) (Livio, Op. cit., XXX, 33,4; Polibio, Op. cit., XV, 11,1), undici dei quali furono poi portati a Roma. Tra le condizioni di pace imposte ai Cartaginesi, Polibio ci informa che era richiesta anche la consegna di tutti gli elefanti.
I Romani utilizzarono per la prima volta gli elefanti da guerra contro Filippo V, in occasione della Seconda guerra macedonica: nella battaglia di Cinocefale (197 a.C.) Flaminio impiegò venti elefanti forniti dagli alleati numidi. Tra i sovrani ellenistici l’uso di elefanti indiani turriti è ancora documentato con Antioco III di Siria, in occasione della battaglia dell’Eurimedonte (190-189 a.C.), l’ultima combattuta da Annibale Barca (Appiano, Op. cit., 22); la fase di preparazione alla battaglia è descritta accuratamente da Aulo Gellio (Le notti attiche, V, 5). L’utilizzo di elefanti è attestato anche in occasione della battaglia di Magnesia (190 a.C.), durante la quale Eumene II di Pergamo mise a servizio degli alleati romani sedici elefanti; tra le forze seleucidi si contavano, invece, cinquantaquattro pachidermi da guerra. I Romani si servirono nuovamente di elefanti (trentaquattro) nella battaglia di Pidna (168 a.C.) - nell’ambito della Terza guerra macedonica - che oppose Lucio Emilio Paolo e Perseo di Macedonia.
Il regno “neopunico” di Numidia ereditò da Cartagine anche l’utilizzo degli elefanti da guerra. I Numidi utilizzarono gli elefanti delle foreste - una specie diffusa in Nord-Africa, oggi estinta - e sappiamo da Silio Italico (Op. cit., XVI,170-176) che Siface ne possedeva numerosi. Sallustio (Guerra contro Giugurta, LIII, 3-4) riporta però che i Numidi spesso non riuscirono a servirsi di questo potenziale bellico, probabilmente perché incapaci di addestrarli adeguatamente. Cesare (La guerra civile, II, 40) riporta che nel 49 a.C. il tribuno della plebe Gaio Scribonio Curione, incaricato di comandare le sue truppe in Africa, fu sconfitto nei pressi di Utica da Giuba, il cui esercito poteva contare di sessanta elefanti. Nella battaglia di Tapso (46 a.C.), Quinto Cecilio Metello si servì di centoventi elefanti, ai quali se ne aggiunsero poi sessanta di Giuba I (Cesare, La guerra d’Africa, 1,4; 19,3; 25,5; 48,1,5). Floro (Op. cit., IV, II) riporta che gli elefanti di Giuba, da poco catturati dalle foreste e, quindi, non ancora addestrati al combattimento, si spaventarono al suono delle trombe, rivoltandosi contro le linee amiche. Secondo Appiano gli elefanti erano trenta, ai quali poi se ne aggiunsero sessanta del re numida; ci riferisce, inoltre, che in seguito a questo scontro l’elefante divenne l’emblema delle insegne della V Legione dei cesariani (Alaudae), poiché aveva resistito alla carica dei pachidermi (Appiano, Op. cit., II, 96). Dopo questi avvenimenti, I Romani non utilizzarono più gli elefanti per scopi bellici, ma li impiegarono per i giochi da circo.
Un utilizzo massiccio di elefanti in guerra si registra secoli dopo, durante la campagna sasanide di Alessandro Severo: Elio Lampridio (Historia Augusta, Vita di Alessandro Severo, LVI) riferisce che i Sasanidi impiegarono settecento elefanti turriti muniti di arcieri, trecento dei quali furono catturati. La battaglia di Avarayr (451 d.C.), nell’ambito della guerra di Vartananz che contrappose Persiani e Armeni, rappresenta l’ultimo conflitto dell’antichità in cui furono utilizzati elefanti corazzati da guerra.
(ed. 2012)