L'isola di Mozia è un piccolo miracolo di natura - in quanto immersa nella laguna dello stagnone, tra fenicotteri e piante tipiche della macchia mediterranea - e di storia - in quanto conserva i resti dell'unico porto artificiale punico in Sicilia, il cothon -. Nel 1977 vennero iniziati una serie di scavi nell'isola da parte dell'Università di Palermo e in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Sicilia occidentale . La scoperta della statua dell'Efebo di Mozia avvenne la mattina del 26 ottobre 1979, nella terza campagna di scavi. L'area meridionale della c.d. zona k, nell'area sud-orientale dello scavo, era coperta da un enorme deposito di detriti. Sotto questo cumulo di pietre si nascondeva una meravigliosa sorpresa: una statua marmorea raffigurante un giovane e databile al V sec. a.C. , cioè al c.d. periodo severo, in cui la produzione scultorea greca raggiunse il massimo splendore. La zona K dove è stata scoperta la statua si trova sul lato nord-orientale dell'isola di Mozia. Nella sezione stratigrafica dell'area di ritrovamento della statua notiamo diverse fasi: fase 1. terreno agricolo moderno; fase 2. con resti di ceramica funeraria ; fase 3. con frammenti di una grossa anfora ; fase 4. con resti di mattoni crudi e un grosso masso che poggiava sopra la statua; fase 5. con due file di anfore capovolte e la statua del giovane. La presenza di parecchie punte di freccia nella fase 5 confermerebbe che lo strato di detriti che copriva la statua fu un effetto della distruzione dionigiana del 397 a.C. La statua all'atto del suo ritrovamento nel 1979 si era presentata agli scavatori che la riportarono alla luce con la testa staccata dal collo e il volto sfregiato, ma nonostante ciò la statua rivelava tutto il suo splendore dopo tanti secoli di oblio. La statua, realizzata in marmo bianco, è alta 181 cm (senza i piedi) e raffigura un giovane atletico e vigoroso, vestito di una lunga tunica. La scultura è priva delle braccia e dei piedi, che sono rotti al di sopra delle caviglie. In origine la statua si trovava in un contesto diverso da quello originario: è probabile che le truppe di Dionisio, entrate in città nel 397 a.C., la saccheggiarono, sfregiandone il volto e rubandone gli ornamenti in bronzo. Quindi l'abbandonarono a terra; ma l'anno dopo i cartaginesi, guidati da Imilcone, conquistarono a loro volta la città, e così alcuni vecchi abitanti dell'isola ritornarono in patria e, ritrovata la loro statua abbattuta e mutila, la deposero sotto a un cumulo di pietre.
Quello che colpisce guardando la statua del giovane è la perfezione con cui sono rese le parti anatomiche del corpo, coperto da un lungo chitone: è come se l'autore avesse voluto ritrarre il giovane nudo e fosse stato costretto in realtà a vestirlo. Questo chitone è sottilissimo e la stoffa, quasi trasparente, aderisce perfettamente al corpo di cui mostra tutte le parti. Un simile chitone molto aderente al corpo lo ritroviamo nel fregio del tempio E di Selinunte raffigurante Atena che combatte col gigante Encelado. Il rendimento a fitte pieghe parallele della veste lo ritroviamo in un auriga del Mausoleo di Alicarnasso; dal 420-430 a.C lo rintracciamo anche negli aurighi raffigurati nelle monete siceliote. Il volto, qui visto di fronte e di tre quarti, sfregiato sul naso, sul labbro e sugli occhi, appare molto enigmatico. Il migliore confronto, per quanto riguarda il volto, è quello con il kouros del Ceramico di Atene. La particolare resa del capo del giovane di Mozia, a ciocche di capelli fatte di globuli, è di gusto arcaizzante e si rifà a quelle di alcuni sarcofagi antropoidi sidoni che si datano fra il V e il IV secolo a.C. Da notare la massa poderosa dei pettorali sulla gabbia toracica che sembra richiamare le statue partenoniche di Fidia, così turgida che sembra quasi scoppiare. Secondo alcuni studiosi la statua rappresenterebbe addirittura Dedalo o Icaro. Altre teorie vedono il giovane di Mozia come parte principale di un complesso scultoreo raffigurante un auriga con quattro cavalli. Questa tesi sarebbe rafforzata dalla presenza, sul torace, di una fascia che corrisponderebbe alla fascia di cuoio portata dagli aurighi greci e romani, e che lo teneva ben saldo al carro impedendogli di cadere. Nonostante gli studiosi abbiano elaborato diverse ipotesi in merito, l'identità del giovane di Mozia rimane ad oggi un mistero, per quanto quella dell'auriga resta l'ipotesi sicuramente più accreditata.