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La notizia che maggiormente ha entusiasmato quest'anno chi come me lavora in ambito archeologico è stato il ritorno (assai agognato a dire il vero) della "Venere" di Morgantina, trafugata dall'omonimo sito in provincia di Enna e restituita all'Italia solo quest'anno. La preziosa opera venne fraudolentemente sottratta nella seconda metà del 900 e venduta nel 1988 al museo Getty in seguito ad un'asta tenutasi a Londra, dove la statua fu venduta per ventotto miliardi di lire. La causa legale intrapresa parecchi anni fa contro un ricettatore ticinese, tal Renzo Cavanesi, ha trovato soluzione solo pochi anni fa quando il 5 marzo 2001 il tribunale di Enna condannò lo stesso al versamento di un'ammenda pari a quaranta miliardi di lire. Do notizia di questa bagarre giudiziaria perché è uno dei rarissimi casi in cui la nostra Regione si è realmente adoperata per il recupero di un bene archeologico; se avesse adoperato tale solerzia in diversi altri casi gli studiosi come me non si troverebbero costretti a girare l'Europa per vedere e studiare opere che ci appartengono e costituiscono talora tasselli fondamentali per lo studio dell’archeologia.
Lasciando perdere le polemiche, visto che questa non mi sembra questa la sede opportuna, passo ora alla descrizione della statua. Alta 2,24 m (pari a ca. 8 piedi), la dea fu scolpita tra il 425 a.C. e il 400 a.C. nel periodo in cui Morgantina venne ceduta a Kamarina dopo gli accordi voluti da Ermocrate di Siracusa (424 a.C.). L'opera è un acrolito che vede l'impiego del marmo per la realizzazione delle parti nude quali la testa, le braccia e i piedi, mentre il panneggio è realizzato in tufo locale. Questa soluzione artistica è assai interessante perché rivela rimandi alla coeva produzione metopale selinuntina ma nello stesso tempo offre spunto per un'altra importante costatazione: tanto in Magna Grecia che in Sicilia il V sec. a.C. segna, e in particolar modo a seguito delle guerre persiane, una grande diffusione della cultura attica all'interno delle colonie occidentali: ciò avvenne attraverso due direttrici; una commerciale e l'altra di tipo politico.
Del resto, il V sec a.C. è il periodo delle tirannidi soprattutto in Sicilia e non è affatto da escludere che questi grandi signori potessero essere fortemente attratti da una cultura tanto raffinata come quella attica. In questo panorama si sviluppò l'attività di Pitagora di Reggio, la cui maestranza operò non solo in Magna Grecia ma anche in Sicilia. Questo è almeno quanto riportano le fonti storiche; lo scultore era fortemente intriso dell'opera di Fidia che ripropose di volta in volta. A tal proposito, due sono le scuole di pensiero. C’è chi ipotizza che le opere scolpite in marmo provenissero già sgrossate dalla madrepatria e rifinite in loco; altri invece credono che, nonostante la tradizione coroplastica, che tanto successo aveva avuto in occidente, esistessero maestranze locali magari itineranti capaci di scolpire anche il marmo ed è in quest'ultima ipotesi che s'inquadra l'attività di Pitagora. Personalmente propendo per quest'ultima tesi anche se mi guardo bene dall'attribuire l'intera produzione scultorea siceliota classica ad un'unica figura (Pitagora), credo piuttosto che in Sicilia si siano sviluppate delle maestranze itineranti che dettarono una tendenza artistica abbastanza omogenea a Siracusa, Agrigento e Selinunte: da qui, tali tendenze artistiche si irradiarano in tutta l'Isola con particolari revisioni in senso locale che trovarono spunto ed espressione nelle diverse colonie siceliote. Questo è, a mio avviso, il Back-ground in cui maturò la composizione della grande statua di Morgantina. La dea, scolpita a tutto tondo, presenta notevoli soluzioni chiaroscurali espresse dalle pieghe del panneggio che aderiscono al corpo sottolineandolo ed esaltandolo; in mano reggeva una phiale.
Alcuni studiosi sostengono che la statua fosse stata posta su di un basamento e collocata all'ingresso del tempio di Demetra presso la porta sud. Considerando tuttavia l'imponente struttura dell'opera non escludo che questa, in quanto opera votiva, potesse esser posta all'interno del tempio e non fuori. L'esatta ubicazione del piedistallo potrebbe chiarire tale dubbio. L'opera è stata da molti identificata come Demetra o Kore e tale ipotesi credo possa essere accettabile, considerando quanta importanza venne data in Sicilia nel corso del V sec. a.C. al culto di queste due dee. Per quanto riguarda alcuni dettami artistici, possiamo riscontrare diverse analogie con le coeve produzioni dell'Isola; un paragone stringente può essere fatto con la testa marmorea rinvenuta ad Agrigento nel santuario delle divinità ctonie interpretata come Demetra; o ancora con le teste femminili delle metope selinuntine appartanenti al tempio E. Queste, così come accade per la Dea di Morgantina, presentano un volume massiccio con un ovale tutto trattenuto dall'ampia curva del mento, le palpebre ispessite sono sottolineate dall'arcata sopracciliare, gli sfumati del volto contrastano con gli effetti chiaroscurali della bocca leggermente imbronciata. Quanto detto dà spunto per la formulazione di un altro quesito assai controverso, ossia l'esistenza di una Koinè artistico-culturale in Sicilia nel corso del V sec. a.C. Alcuni studiosi si ostinano a negare tale fenomeno ma sono convinto che esistesse; del resto i confronti risultano troppo stringenti per negare la presenza di una vera e propria tendenza che, veicolata dalle maestranze, si diffuse ed ebbe grande lustro sull'Isola.
Argomenti trattati in questo servizio: recuperata e restituita all ?Italia dal Paul Getty Museum negli Stati Uniti la statua della Venere, Demetra o Kore di Morgantina ora custodita nel museo archeologico di Aidone nella provincia di Enna in Sicilia Venere di Morgantina statua Morgantina |
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