Nonostante la difficoltà a stabilire l'esatta origine degli Elimi, i dati storici e l'evidenza archeologica testimoniano comunque la presenza nella Sicilia occidentale di un ethnos nettamente distinguibile dalle altre culture.
La diversità di culture era già chiara agli antichi, almeno dal V secolo a.C. in poi: secondo una più recente rilettura di Tucidide VI, 2, 3, lo storico ateniese opera una distinzione tra l'ethnos elimo e quello sicano. Già Musti notava come il «tutti insieme» non appare come aggettivo coinvolgente Elimi e Sicani, ma semplicemente sia (come sottolinea l'uso delle particelle mén... dé...) l'elemento polare rispetto a poleis: «tutti insieme i profughi troiani, in quanto popolo, ebbero appunto il nome di Elimi, mentre individualmente le loro poleis si chiamarono Erice ed Egesta» . Anche Anello ha confermato la validità di tale interpretazione, sottolineando che la collocazione degli Elimi “accanto” ai Sicani produce una «distinzione per territori», ma avverte: «non sappiamo fino a che punto dietro questa distinzione siano da ricercare canoni interpretativi greci» .
Nenci invece, partendo proprio dalla definizione erodotea di ethnos, ha voluto verificare come gli elementi offerti dall'archeologia e dall'epigrafia rispondano ai 'canoni' del modello greco.
Ma l'analisi condotta da Nenci ci porta oltre la semplice constatazione della presenza di un ethnos diverso: numerosi indizi suggeriscono che la caratteristica predominante di questo ethnos è la tendenza ad organizzarsi in koinon.
Sulla natura di tale koinon, sugli obblighi e i vantaggi che esso comportava, tuttavia, ben poco possiamo dire, nonostante autorevoli studiosi abbiano condotto approfondite indagini in proposito. Alla mancanza di strumenti adeguati per l'indagine si accompagna una mancanza di attestazioni di forme organizzative simili in occidente. Inoltre, risulterebbe una forzatura tentare di spiegare un fenomeno così singolare, confrontandolo con esperienze associative come le federazioni religiose, sebbene esse possano avere punti di contatto col mondo elimo, a cominciare dalla presenza di santuari comuni.
Proprio un santuario, quello ericino, è protagonista del luogo tucidideo che ricorda l'inganno perpetrato dai Segestani a danno degli ambasciatori ateniesi e che costituisce forse la più importante testimonianza letteraria sui rapporti tra Erice e Segesta. Secondo Consolo Langher, «sia che i segestani utilizzassero le ricchezze del santuario ericino per abbagliare gli ateniesi, sia che questa esibizione potesse significare che la ricchezza pubblica di Segesta si trovava conservata nel santuario di Erice, in quanto santuario del koinon elimo, è di per sé evidente, in entrambi i casi, che la città di Erice si muove nella sfera politica della potente Segesta» . Dunque, i rapporti che si sviluppano attorno al santuario di Erice renderebbero più evidente una organizzazione 'sovrastatale' basata sull'etnico, e in più, stando all'interpretazione della Consolo Langher, a Segesta spettava il compito di far da centro leader del koinon stesso.
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