Il cothon di Mozia: nuove scoperte

di Giuseppe Stabile
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Mozia, Coton o Cothon o Kothon o KotonL’edificio (52,5 x 35,7 m), la cui denominazione deriva dal greco kw Jwn “bacile, vasca”, sito a Mozia, è uno dei monumenti meglio conservati e più affascinanti dell’isoletta siciliana. Lo scavo del bacino fu condotto negli anni 1906-07 da G. Whitaker a cui seguirono le indagini di B.S.J. Isserlin e da J. Taylor condotte negli anni 60. Le ricerche sono state riprese nel 2002 ad opera dell’università “La Sapienza” con l’appoggio della Soprintendenza di Trapani e si sono concentrate in alcuni settori attorno al bacino, dove le prospezioni al georadar avevano indicato la presenza di strutture; si è effettuato inoltre il rilievo di alcune costruzioni affioranti prospicienti la porta sud e all’imboccatura del canale ed infine il parziale prosciugamento della stessa vasca per indagare la banchina orientale.
Il cothon era costituito da una vasca scavata all’interno di un banco calcareo foderata da blocchi di calcarenite (proveniente da Favignana). Presso il bacino c’era un canale costruito anch’esso interamente in blocchi con orientamento sghembo e con spessore irregolare, collocato nel tratto di spiaggia compreso tra il grande torrione sud-occidentale del circuito murario e la porta sud. Sebbene sbarrato dal muro del cothon, il canale sembrava metter in comunicazione le acque del bacino con quelle della prospiciente laguna dello Stagnone.
Nelle immediate vicinanze del bacino, nel 2002, è stato rinvenuto un portale monumentale che ha indotto gli studiosi a considerare la presenza di un edificio di culto contraddistinto da un pozzo sacro che è stato scoperto nella medesima occasione. Il tempio si apriva verso la porta meridionale ed era connesso al cothon con il quale condivideva la stratigrafia e la cronologia (eretto nel VI sec. a.C. fu distrutto nel 397/ 396 a.C.). Il santuario presenta due fasi di utilizzo: una che va dal VI al V sec a.C., quando il tempio era costituito da una struttura aperta suddivisa in cinque navate distinte da file di pilastri a base quadrata disposti a una distanza di 3,15 m l’uno dall’altro. Lo spazio interno era dominato dalla corte rettangolare e dalla cella che si apriva sul lato nord. Nel medesimo spazio si trovava anche un altro vano. I tre grandi corpi di fabbrica avevano un orientamento trasversale rispetto all’asse del tempio. Nella corte c’erano tre installazioni: di fronte l’ingresso si trovava un pozzo presso il quale era una bassa banchina circondata da offerte con un incavo per ospitare un pilastro (trovato successivamente, si tratta di un obelisco alto 3,15 m). A breve distanza, sempre lungo l’asse mediano del tempio, era collocata una seconda base destinata ad ospitare un cippo ancora in opera seppur mutilo della sua parte superiore. Anche questa base era presso una banchina con un foro per ospitare libagioni. Una terza base era allineata con le precedenti sistemazioni e doveva ospitare anch’essa un elemento verticale ormai perduto. Sul lato est della cella c’era un piccolo podio destinato forse ad ospitare un trono. Alla cella si accedeva attraverso un ingresso grande quanto il portale del tempio con il quale era in asse. Resti carbonizzati all’interno della cella lasciano presupporre la presenza di arredi mobili di tipo ligneo. Sempre sul lato orientale della cella era un adyton, dove forse era conservato il simulacro della divinità venerata nel tempio, ipotesi confermata dalla presenza di un segnacolo e di un betilo posti lì nella successiva fase del tempio. Il terzo spazio del naos presentava una banchina per le libagioni.
Il cothon di Mozia, chiamato anche coton, koton, kothonIl tempio era ancora in funzione quando a Mozia fecero il loro ingresso i Siracusani che lo distrussero. Alcuni elementi architettonici vennero occultati nel pozzo (lì furono trovati delle lesene e un capitello di tipologia cipriota del portale) e in un grande deposito sempre in asse col tempio. Non sappiamo a quale divinità fosse dedicato il santuario ma si ipotizza che potesse esser votato a una dea infera connessa alle acque dolci e al mare. Dopo la distruzione siracusana, il tempio venne completamente modificato. Si creò, infatti, un’area sacra a cielo aperto cinta da temenos e contraddistinta da segnacoli e depositi votivi; questi ultimi erano disposti presso il brothos (pozzo per le offerte), presso un altare quadrangolare e sullo spazio precedentemente occupato dalla cella. Si tratta per lo più di oggetti metallici, ossa di animali (corna di cervo e zanne di cinghiale), conchiglie, vasetti a vernice nera e altre ceramiche. I reperti in questione si raccoglievano attorno ai segnacoli: tali deposizioni erano tipiche della cultura religiosa fenicia che contemplava dei sacrifici prima della messa in opera di cippi e betili nelle aree sacre.
Come detto precedentemente, il tempio e il cothon erano posti in connessione. La campagna scavi del 2005 ha messo in luce la banchina orientale (emersa dopo il prosciugamento del bacino) larga 8 m che era separata dal santuario da una fila di blocchi con funzione di temenos. I due monumenti offrono alcuni spunti di riflessione: intanto il cothon era una struttura perimetrale unica (e ciò è stato dimostrato in occasione del suo svuotamento) che ebbe due fasi costruttive connesse col tempio. Apparentemente la cosa sembrerebbe insensata, considerando il fatto che uno è di natura religiosa, l’altro commerciale. Questa analogia tuttavia induce a ritenere che il bacino fosse un elemento complementare del santuario. Altra osservazione è la scarsa presenza di anfore; le uniche trovate erano impiegate come contenitori per le offerte. Se è vero che il bacino era impiegato come darsena o piccolo porto la presenza di questi contenitori doveva essere abbondante. L’assenza delle anfore è un’ulteriore conferma del fatto che il cothon non aveva funzione portuale.
A sostegno di quanto affermato finora sta la scoperta fatta sul lato opposto al canale; lì, infatti, il muro del cothon presentava, per una lunghezza di 7,83 m, una banchina sporta verso l’invaso e inoltre è stato individuato un sistema di drenaggio di una falda d’acqua dolce che convogliava al centro del bacino. Alla luce di queste ultime due scoperte si è individuata la vera natura del cothon: esso altro non era che una vasca sacra alimentata da acque dolci utilizzata nelle pratiche religiose che si svolgevano nel vicino tempio. L’innalzamento delle acque della laguna dello Stagnone ha invaso il bacino occultandone la funzione primaria. Queste tipologie santuariali, benché rare, sono conosciute anche nei territori dell’antica Fenicia come il tempio degli obelischi di Biblo, il Maabed di Amrit e il tempio di Eshmun presso Sidone.
Mozia è ora al centro dell’attenzione del nuovo sindaco di Marsala, l’avv. Renzo Carini, che ha assunto l’iniziativa, d’intesa con la Fondazione Whitaker, di chiederne all’Unesco il meritato riconoscimento come uno dei luoghi più rilevanti da salvaguardare per il suo apporto alla civiltà umana. Ulteriori scavi e ricerche nel territorio dell’isoletta dello Stagnone, indagato fino ad oggi soltanto per il quattro per cento, potranno elargire all’archeologia e alla cultura mondiale il dono di nuove entusiasmanti scoperte.



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