Al Museo Civico di Centuripe, un lotto di attrezzi da ceramista del tardo ellenismo è stato esposto ricostruendo un laboratorio tipo; si è scelta questa soluzione anche perché i dati di scavo non consentivano la ricostruzione degli arredi. Tutta la parte ricostruita è stata dipinta di grigio, gli oggetti autentici spiccano nei colori reali; si riesce così, con molta immediatezza, sia a evidenziare gli oggetti antichi rispetto al suggerimento di contesto, sia a non far nascere dubbi nell'identificazione di parte autentica e parte ricostruita. Accanto alle matrici (autentiche) sono stati posti i calchi moderni; e questo è abbastanza scontato: non solo per capire la tecnica esecutiva delle terrecotte, ma anche perché le matrici, essendo dei negativi, non sono di immediata lettura. La ricostruzione si spinge anche a indicare diverse fasi di lavorazione: sul bancone, gli attrezzi per levigare (autentici) sono presentati con un vaso già levigato (ovviamente ricostruito); lì accanto, sul tornio, è la fase precedente: un vaso appena tornito, ancora da rifinire. Alla parete è la foto di una pittura pompeiana, della stessa epoca, che raffigura un laboratorio di vasaio: ulteriore contributo alla contestualizzazione, ma anche citazione di una delle fonti che hanno consentito la ricostruzione. La ricostruzione del laboratorio funge anche da introduzione all'esposizione tematica di un lotto di terrecotte ellenistiche, da collezione (e quindi prive di contesto di scavo).
È un esempio dei problemi espositivi tipici del museo archeologico: fare storia attraverso la presentazione di oggetti e di risultati di scavi, con un percorso organico che possa fare da filo conduttore e una esposizione che permetta una corretta fruizione dell'opera d'arte, ma che consenta anche di suggerire il contesto in cui vanno visti i diversi oggetti. Lo stesso scopo può essere raggiunto in altri modi: ad esempio con l'uso di plastici, di disegni ricostruttivi, magari affiancati a immagini d'epoca.
La somiglianza con le period rooms, di tradizione soprattutto americana, è più apparente che reale: esposizione contestualizzata di interi arredi - o 'assemblaggi' di oggetti in realtà di provenienza diversa - per dare l'idea, per rendere l'atmosfera, di un ambiente tipico di una certa epoca, di un certo ambiente storico.
Maggiore interesse rivestono soluzioni espositive nate nel vecchio continente. Risalgono ormai a tanto tempo fa certe magistrali proposte del museo archeologico di Colonia: ad esempio, le parti metalliche di un carro da viaggio di età romana imperiale, esposte assieme alla ricostruzione fatta sulla base delle immagini d'epoca (ovviamente legno e cuoio non si sono conservati); ceramiche da mensa presentate in contesto d'uso con arredi stilizzati.
Forse non è inutile ricordare che un museo archeologico è fatto da archeologi, ma non è destinato ad essere visto da archeologi (che non hanno bisogno di sale espositive e apparati didascalici, ma di magazzini ben ordinati e di biblioteche). Le sale espositive sono destinate agli altri: il pubblico del museo è fatto da persone che hanno almeno un minimo di interesse (non entrerebbero, se no); ma che nella stragrande maggioranza sono solo curiose di sapere (o semplicemente turisti in gita). Gli oggetti non hanno solo bisogno di essere bene illuminati e accompagnati da "cartellini" che precisano un nome e una data; hanno bisogno di essere inseriti in un contesto. Vale anche per le opere d'arte, non solo per gli oggetti d'uso; ovviamente in maniera diversa. L'oggetto antico può anche essere degradato, frammentario, avere assunto un aspetto diverso rispetto a quando era nuovo e in uso; in ogni caso è sempre fuori contesto. I dati di scavo e gli studi specialistici ricostruiscono aspetto, contesto, significato. L'esposizione deve in qualche modo suggerire tutto ciò.
Tutti abbiamo visto esposizioni in cui, tra luci giuste e allestimenti sapienti, un cartellino dichiara "Coppa - II millennio a.C."; e intanto dalla parete, su un nastro chilometrico, incombe un testo troppo lungo per poter essere letto. Di solito se ne esce con un senso di vuoto. Non ha senso fare pannelli come un libro appeso al muro (indipendentemente dalla lunghezza dei testi) e vetrine che svolgono il ruolo delle illustrazioni del libro. Chi vuole approfondire l'informazione, il libro se lo legge a casa; al museo si va per vedere. Il problema è riuscire a ricostruire un contesto, lasciando il posto da protagonista agli oggetti (o ai complessi di oggetti) esposti. Le ricostruzioni alla Disneyland sono un'altra cosa. L'esempio sopra riportato, tutto sommato, è un caso abbastanza semplice.
Altri sono i problemi posti dall'esposizione di un complesso di statue di marmo provenienti da un edificio pubblico, o dall'esposizione di una vasta collezione di oggetti di artigianato artistico. Un caso particolarmente intrigante è esporre corredi funerari - corredi completi, ovviamente, non oggetti selezionati e per ciò scompagnati - in maniera tale da far vedere la vita di tutti i giorni: non solo aspetti materiali (i commerci, ad esempio), ma anche aspetti immateriali (aspetti ideologici, trasformazioni culturali nel lungo periodo). In una pubblicazione questi aspetti vengono trattati l'uno dopo l'altro, in altrettanti capitoli, facendo riferimento, di volta in volta, ad oggetti già presentati in un catalogo, o a dati già presentati nell'illustrazione dello scavo. Nell'allestimento museale si può avere una sola disposizione del corredo; ma con diversi livelli di lettura (ovviamente senza creare confusione).
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