Gli arazzi fiamminghi conservati nel Museo di Marsala narrano la guerra romano-giudaica del 65-68 d.C. e provengono dal Palazzo Reale di Madrid: sarebbero appartenuti a Mary Tudor, regina d'Inghilterra e figlia di Enrico VII, nonché regina di Spagna dal 1554 in seguito alle nozze con Filippo II. Secondo la leggenda la regina navigava nel mare antistante la città di Marsala quando a causa di una tempesta fu costretta a fare uno sbarco di fortuna proprio a Marsala e fu ospitata quella notte dall'arciprete Mons. Lombardo: grazie a quest'episodio sarebbe nata un'amicizia tra l'arciprete e la famiglia reale di Spagna, tanto che in seguito alla morte della regina il re Filippo II avrebbe deciso di donare gli arazzi, che originariamente decoravano l'appartamento della regina, all'arciprete di Marsala, memore dell'ospitalità ricevuta dalla moglie in quella notte tempestosa. Al di là della vicenda storica, che qui s'intreccia con la leggenda, gli arazzi di Marsala furono prodotti a Bruxelles nel XVI sec.: ricordiamo che in quel periodo le Fiandre erano sotto il dominio della Spagna, ecco spiegata la loro originaria collocazione all'interno del Palazzo Reale di Madrid. Qualche cenno sulla tecnica di fabbricazione: gli arazzi venivano realizzati manualmente attraversato un particolare tipo di telaio detto “a basso ed alto liccio”, costituito da due curli di legno in cui venivano fatti passare i fili dell'ordito. La principale difficoltà nella realizzazione di un arazzo sta nel fatto che si deve necessariamente lavorare dal retro dell'arazzo stesso, altrimenti si vedrebbero i nodini che tengono insieme i fili di vario colore: di conseguenza l'arazziere colloca un grosso specchio davanti al telaio, e di tanto in tanto allarga i fili dell'ordito per vedere a che punto è la composizione. Si tenga presente che in un giorno l'arazziere riusciva a produrre non più di 4-5 cm quadrati di arazzo! Torniamo al contenuto storico degli arazzi di Marsala: sotto Nerone l'Impero romano era riuscito ad assoggettare al suo dominio quasi tutti i territori fino allora conosciuti ma la sua integrità era minacciata da una rivolta nelle città della Giudea che avevano deciso di ribellarsi ai romani, creando un enorme incendio e portando avanti una battaglia che si concluse con la sconfitta dei romani. Il rischio per l'Impero era molto alto: non si trattava di perdere solo la Giudea, ma anche tutte le province orientali che sotto il suo esempio si sarebbero ribellate a Roma. L'imperatore Nerone temendo tutto questo decide allora di sedare la rivolta e spedisce in Giudea il migliore dei condottieri romani di quel tempo: Vespasiano, che a sua volta chiama con sé il figlio Tito, che si trovava ad Alessandria d'Egitto. Insieme raccolgono le legioni di soldati e partono alla volta della Giudea. Nel primo arazzo ( fig.4) viene descritta la battaglia nella città giudea di Giotapada, che si conclude con la vittoria dei romani e con la cattura del condottiero giudeo Giuseppe Flavio, che predirà a Vespasiano che lui e Tito verranno nominati imperatori di Roma. Nel secondo arazzo viene raffigurata la città di Tiberiade, con l'imperatore Vespasiano circondato dai suoi soldati che minaccia il re Agrippa e gli abitanti della città di attaccarli, e questi ultimi che chiedono clemenza. Nel terzo arazzo (fig.5) Vespasiano viene incoronato imperatore in seguito alla morte di Nerone: un cane in primo piano simboleggia la fedeltà dei suoi soldati. Nel quarto arazzo ( fig.6) un legato della città siriana di Berito porta in dono a Vespasiano una cassa piena di gioielli, per testimoniare la fedeltà del suo popolo all'imperatore. Nel quinto arazzo viene raffigurata la scena della liberazione dalle catene del condottiero giudeo Giuseppe Flavio per ringraziarlo di aver predetto a Vespasiano che sarebbe diventato imperatore di Roma. Il sesto arazzo è ambientato nella città di Gerusalemme e raffigura l'ebreo Gionata che combatte con il soldato romano Prisco dopo avergli ucciso l'amico Pudente. Nel settimo arazzo è rappresentata sullo sfondo la città di Gerusalemme ormai distrutta: in primo piano Tito, figlio di Vespasiano, temendo la vendetta del dio degli ebrei Javeh, decide di far celebrare un rito sacro e chiama un sacerdote ebreo, raffigurato con un lèvita che porta i paramenti sacri. L'ottavo e ultimo arazzo (fig.8) riporta la scena del rito sacro con al centro l'altare che brucia: a sinistra Tito col braccio alzato che sembra recitare una preghiera e a destra il sacerdote che celebra il rito.