Vi è mai accaduto di vagare per le vie della Sicilia e, d’incanto, imbattervi in un itinerario che pare conduca in luoghi ove il presente sembra s’intrecci con il passato, in un’armoniosa successione di immagini ora reali ed ora mitologiche?
Allora seguiteci in questo viaggio nel tempo, lungo i sentieri orientali della nostra Isola, nel sito che rappresentò il fiore della civiltà ellenistica in Sicilia.
Siamo ad Ortigia, primo nucleo abitativo della città di Siracusa, isolotto dedicato ad Artemide, venerata con l’appellativo di Ortea (da una regione dell’Arcadia), da cui trae origine il nome del luogo. Meta del nostro cammino è la Fonte Aretusa, situata a sud-ovest di Ortigia.
Dopo aver percorso con passo lesto la magnifica “passeggiata Aretusa”, sostiamo ad ammirare il belvedere della Fonte cinta da una suggestiva scogliera.
Nel corso dei secoli svariati interventi dell’uomo hanno modificato l’aspetto della sorgente che appare delimitata da una costruzione muraria eretta al fine di preservarla. All’interno del laghetto sono stati piantati verdissimi papiri che conferiscono al sito una gradevole vivacità.
Da qui è possibile compiacersi di uno scorcio incantevole che abbraccia tutta la città di Siracusa e la costa lungo il Golfo di Noto, ove in lontananza dominano i monti Iblei.
Questa atmosfera surreale ci fa evocare i racconti mitici con i quali i nostri antichi padri solevano rappresentare, sotto forma di metafora, i sentimenti umani e le vicende interiori della coscienza.
Pervasi da un uragano di emozioni, si ode da lungi una voce soffusa, una voce che parla d’amore, di un amore lontano nel tempo che ci conduce ad un viaggio misterioso. È, indubbiamente, la voce di Alfeo, che canta il suo amore per Aretusa, una tra le ninfe al seguito di Artemide, dea della caccia.
Si narra che, una volta, Aretusa, stanca e accaldata, si immerse nelle acque di un fiume per trarne un po’ di refrigerio e, lì, fu scorta da Alfeo, cacciatore dell’Elide che, attratto dal candore della fanciulla, se ne innamorò.
Aretusa, spaventata dal sussurro di Alfeo, fuggì inseguita dal giovane seduttore.
“… Correvo come le colombe con le ali palpitanti sogliono fuggire l’avvoltoio”, racconta Aretusa per bocca di Ovidio. (Metamorfosi v. 572 e segg.)
Giunta nell’Elide, stremata dalla fatica, la giovane ancella chiese soccorso ad Artemide che impietosita, per sottrarla alle persecuzioni di Alfeo, la tramutò in fonte presso l’isola di Ortigia.
“… Intanto un gelido sudore ricopriva tutte le mie membra, e da tutto il mio corpo cadevano cerulee gocce, e, più presto di quanto ora non ti narri il fatto, fui mutata in fonte”. (Virgilio-Eneide libro III).
Frattanto anche Alfeo fu trasformato in un fiume che oggi scorre nell’Elide sgorgando nel golfo d’Arcadia. Malgrado tale metamorfosi, non potendo obliare il suo amore per Aretusa, Alfeo si insinua nel mare scorrendo fino ad Ortigia per mescolarsi con le acque della Fonte.
Di fatti il perenne peregrinare di Alfeo è connesso a due fenomeni naturali: sia alla peculiarità dell’omonimo fiume del Peloponneso che, per parte del suo corso, scorre sotto terra; sia alla presenza, nei pressi della celebre fonte, di una piccola sorgente chiamata “Occhio di Zillica” che pare sia la personificazione del mito di Alfeo e Aretusa.
Chissà se adesso la casta ninfa abbia ceduto all’impetuoso e tenace corteggiamento dell’innamorato.
Con tale enigma, che solo queste nitide acque potrebbero svelare, abbandoniamo la Fonte e ci apprestiamo ad esplorare in barca il Ciane, fiume che sfocia proprio di fronte alla Fonte Aretusa.
Risalendo lungo il corso del Ciane sino alla sorgente, detta “Testa della Prisma”, si ammira uno splendido bacino circolare dalle acque profonde, fiancheggiato da alte e rigogliose siepi di papiri formanti un’elegante muraglia verde che pare voglia celare l’intimità di due amanti.
Anche qui la mente è rapita da un mito; in queste acque cristalline, infatti, vivono due innamorati. Si tratta di Ciane, la ninfa che, per essersi opposta coraggiosamente al ratto della compagna Proserpina da parte di Plutone, venne tramutata in fonte, e del suo amato Anape.
La tradizione tramanda che Proserpina nel contrastare Plutone abbia smarrito il suo cinto e, allorché Cerere venne a cercare la figlia, ebbe una preziosa indicazione da Ciane che, mutata in fonte, fece ondeggiare il cinto, attraendo l’attenzione della dea.
Secondo il mito la forma circolare della “Testa di Prisma” deriverebbe dall’impatto del carro di Plutone prima di sprofondare nell’Ade assieme a Proserpina, nonostante l’intervento di Ciane.
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