I monumenti di Agrigento antica

di Rosalba Scalabrino
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Agrigento: il tempio di Castore e Polluce, detto anche dei DioscuriSe dalla strada costiera si giunge ad Agrigento, si apre facilmente allo sguardo quella singolare mescolanza tra modernità, natura e classicità che segna l’immagine, a tutti nota, dell’antica Akragas. Il contrasto tra i caldi colori della natura e l’azzurro del cielo, tra l’espansione edilizia e i resti monumentali che, quasi per miracolo, sembrano elevarsi sulla piana digradante dalla collina al mare, è l’effetto che emana dalla città odierna e che non nasconde i segni della magnificenza di un tempo.
Dalla collina di Girgenti, oggi occupata a sud dal nucleo urbano moderno, fino alla collina dei templi, attraverso un pianoro in leggera pendenza verso il mare, sorgeva il sito della città greca, delimitata ad est e ad ovest dai fiumi Akragas (S. Biagio) e Hypsas (S. Anna) che confluivano poi nel S. Leone, alla cui foce si trovava il porto della città, l’Emporio.
Già abitato da millenni dalle popolazioni indigene e successivamente frequentato dai navigatori greci, l’attuale territorio agrigentino assumeva il nome di Akragas nel 582 a.C., quando i Gelesi fondavano una delle ultime colonie greche di Sicilia, a metà strada tra Gela e Selinunte, assicurandosi il fertile territorio prossimo allo scalo commerciale ed una posizione di controllo e di difesa della costa rivolta all’Africa dalle incursioni cartaginesi.
La tradizione storiografica di matrice tucididea, poi, associa ai coloni geloi gli ecisti Aristinoo e Pistillo, a segno, forse, della presenza di gruppi etnici greci (rodii e cretesi) che avrebbero contribuito a dare una specifica impronta politica e religiosa alla città. In meno di due secoli, a partire dalla tirannide di Falaride ed in concomitanza con i primi grandi scontri con i Punici, Akragas raggiunge quella magnificenza e quello sviluppo che vedono l’edificazione della cinta muraria prima, dei templi sulla collina meridionale e dell’Acropoli sulla rupe Atenea poi.
Ancora visibili restano alcune parti della cinta muraria, la cui linea seguiva la cresta della collina occidentale, la rupe Atenea, scendendo lungo il corso del fiume Akragas, quindi lungo la collina dei templi verso ovest e il corso del fiume Hypsas verso nord, abbracciando così una vasta area affacciata in parte verso l’entroterra, in parte verso il mare.
telamone del Tempio di Zeus della Valle dei Templi di Agrigento Tra la fine del VI secolo e la metà del V venivano edificati i monumenti che, ancora oggi, oltre l’azione del tempo, delle calamità e delle depredazioni, pur favoriti dai restauri e dagli scavi divenuti più sistematici durante il secolo scorso, si lasciano ammirare nella splendida Valle dei Templi.
Qui il giallo intenso del tufo arenario prende forma negli austeri templi di ordine dorico, abbinandosi con effetti singolari ai colori della vegetazione e ai motivi creati dall’espansione moderna. Guardando la collina dei templi da est verso ovest, seguendone con lo sguardo il digradare, è facile ammirare in successione il tempio di Giunone, il tempio della Concordia, il tempio di Ercole e ciò che resta del tempio di Giove Olimpico e di quello dei Dioscuri. Alla dea Giunone era dedicato il tempio che si innalza all’estremità orientale della collina e delle cui 34 colonne originarie ne restano oggi 25, con forme che richiamano il vicino tempio della Concordia ma che risultano assai più danneggiate per la fragilità del tufo e gli effetti di un terremoto avvenuto nel medioevo. Edificato a metà del V secolo, con pianta periptera esastila e preceduto da un altare sacrificale, esso rifletteva un’età di ricchezza e di benessere per la città, nonostante la rivalità con Siracusa ne avesse frenato ambizioni e mire espansionistiche sulle città greche di Sicilia.
Poco tempo dopo, nel medesimo clima di splendore e munificenza che peraltro, per i numerosi portici coperti in area sacra, rendevano Akragas nota come città delle stoài, veniva eretto il tempio della Concordia, assieme al tempio di Esculapio fuori le mura ed a quello di Vulcano, nell’estremità nord-occidentale della Valle.
Denominato solo in epoca successiva, considerata l’incerta identità del dio dedicatario, quale Tempio della Concordia, periptero esastilo come il vicino dedicato a Giunone, esso si è conservato nelle sue dimensioni e forme maestose: la trasformazione del tempio in basilica nel IV secolo d. C. ne ha poi in parte modificato e rafforzato la struttura con la chiusura degli intercolumni e l’apertura di arcate nella cella.
Agrigento: il tempio di Ercole Quello di Ercole è il più antico della valle: venne edificato alla fine del VI secolo sotto l’Emmenide Terone (488-472) che, dopo la battaglia di Himera (480 sconfitta dei Punici da parte di Akragas, Gela e Siracusa), potenziò la politica edilizia della città per favorirne l’immagine di benessere, attraverso, per esempio, la sistemazione dell’area sacra di Porta V (zona del tempio di Castore e Polluce). Il tempio, anch’esso periptero esastilo, è certamente dedicato al mitico semidio, la cui statua bronzea era posta nella cella nonché era raffigurato in una pittura di Zeusi secondo una notizia di Cicerone. Delle sue 38 colonne originarie (6 e 15 per ciascun lato) ne restano 8, di cui 4 ancora coronate da capitello ed una, l’ultima, mutila ma forse l’unica non rialzata tra quelle superstiti.
Proseguendo verso il tempio di Giove, guardando a sud-ovest della collina, si trovano la tomba di Terone e, continuando per un sentiero oltre la statale 115, si incontrano i ruderi del tempio di Esculapio, risalente al V secolo a.C.
Iniziato dopo la battaglia di Himera (prima metà del V secolo) e mai terminato, il tempio di Giove Olimpico doveva essere uno dei più grandi dell’architettura greca nel progetto di Terone, come si evince dalle dimensioni (m 110x56).
La costruzione pseudoperiptera eptastila, forse dotata di due ingressi e tre navate divise da pilastri, è una delle creazioni templari più singolari per la presenza dei giganteschi telamoni (m 7,65): posti come semicolonne a sostenere la pesante trabeazione, poggiavano su una cornice a metà altezza del muro tra le colonne, trasmettendo quel tipico senso del colossale che ispira l’architettura siceliota. L’ultimo telamone superstite, ricomposto nel 1825 e trasferito al Museo Archeologico, è sostituito sul luogo da un calco situato al centro della cella.
Più degli altri templi della Valle, le quattro colonne esistenti del Tempio dei Dioscuri sono rimaste l’emblema dell’antica monumentalità di Agrigento. Periptero esastilo con 34 colonne, danneggiato dai Cartaginesi e poi ricostruito in forme ellenistiche, rovinò definitivamente dopo un terremoto e perciò quanto è oggi visibile è il prodotto di una ricostruzione ottocentesca effettuata con materiali provenienti da altri templi.
Ai secoli VI e V a. C. risale poi il complesso di edifici dei santuari delle divinità ctonie Demetra e Kòre nei pressi del tempio di Castore e Polluce, nella zona occidentale della collina: si tratta di due recinti sacri o tèmenoi con altare interno posti nell’estremità nord dell’area cui successivamente furono aggiunti altri altari e tre tempietti.
Così la testimonianza del mondo antico si erge ancora a fronte delle strutture moderne, creando dinanzi agli occhi del visitatore una “stridente” ma al tempo stesso affascinante commistione tra passato e presente, natura e civiltà, archeologia e tecnologia. Un patrimonio di elevatissimo valore storico-artistico-culturale che, testimoniando la profonda ellenizzazione delle colonie greche della Sicilia (ancor più legate alla madrepatria dopo le guerre persiane), ne rivela i caratteri prettamente sicelioti, come la netta predilezione per la “solennità” del dorico a scapito dello ionico, la traduzione dello stile templare nei calcari locali in sostituzione del marmo, secondo quella “libertà” che adatta stili, forme e colori della madrepatria al gusto locale.



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